Con 43 mila presenze si chiude la terza edizione del Roma Fiction Fest che ha decretato i Buddenbroocks il miglior tv movie della stagione. Ma la lista dei premi e dei vincitori è molto lunga.
Non sono mancate le polemiche e le rivendicazioni da parte degli artisti, in particolar modo l’iniziativa di Pierfrancesco Favino (premiato come miglior attore per Pane e Libertà) che, con garbo, ha lasciato il premio sul palco dichiarando «Accetto il premio con gioia ma lo lascio qui. Tornerò a prenderlo quando saranno reintegrati le risorse per il Fondo Unico per lo Spettacolo». Tale gesto è stato anche ripetuto da altri suoi colleghi.
Ma al di là dei riflettori mondani e cerimoniosi, mi preme dare rilievo al convegno promosso dalla SACT, dal titolo: Created by- il ruolo dello showrunner nella produzione seriale americana ed europea, moderato con competenza e ironia da Marco Spagnoli.
Senza voler entrare nel cuore del dibattito, di cui hanno già scritto l‘uffico stampa del Fiction Fest e il blog SACT, posso ben dire che il progetto Created by è molto ambizioso e degno di stima ed entusiasmo, ma attorno ad esso c’è una gran confusione. E’ emerso da alcuni interventi degli stessi sceneggiatori (categoria che mi preme comunque tutelare) che non hanno la minima idea di cosa sia un processo produttivo di serialità e lo hanno dimostrato rivendicando un potere di controllo sullo sviluppo del processo, al fine di tutelarne esclusivamente l’identità. Ma l’identità non è necessariamente qualità!
Mi sembra che qui ci sia un conflitto di rivendicazione di potere e non una sana ambizione di garanzia di qualità.
La qualità parte dall’idea e si sviluppa in un continuo lavoro di squadra che porta alla messa in scena del prodotto, a tutela del quale deve esistere una figura professionale, che può essere anche uno sceneggiatore, ma che deve necessariamente avere competenze di regia e produzione. Non a caso tale figura viene chiamata Produttore Creativo.
Pertanto, è certamente un segnale forte la volontà di cambiare l’avvilente status quo in cui è costretta la fiction italiana attraverso l’idea di promuovere percorsi formativi per tale figura. Ma finchè la televisione generalista, che deve pur sempre fare i conti con lo share e la vendita degli spazi pubblicitari, continuerà a investire nel vecchio, nel già visto, allontanando da sè ogni sfida al cambiamento e alla sperimentazione, la fiction italiana di qualità, che esiste e può continuare a evolvere, rimarrà un prodotto di nicchia, condannando il pubblico generalista all’inebetimento cerebrale.
La televisione generalista, per delle ragioni a me sconosciute, si ostina a negare l’esigenza di innovazione che lo stesso pubblico in fuga chiede a gran voce. Il fattore rischio è molto più basso di quanto si possa immaginare e lo dimostra il successo che le serie straniere continuano ad avere nel nostro paese. La domanda c’è, basta saperla ascoltare e accoglierla attraverso lo sviluppo di nuove idee di cui, la televisione, ha il dovere di farsi promotore, per il bene di se stessa e della nostra società.
La televisione generalista è sull’orlo del suicidio, ma ancora non lo sa.