Oggi il mio pensiero va alle donne che hanno cucito le camicie rosse, alle infermiere che hanno accudito e curato i patrioti feriti, alle combattenti che, travestitesi da uomo, hanno imbracciato le armi sacrificandosi sulle barricate, alle aristocratiche e ai loro salotti in cui è nato e cresciuto l’ideale dell’Unità d’Italia.
Colomba Antonietti, uccisa mentre difendeva la Repubblica Romana, Luisa Battistotti Sassi che cacciò gli austriaci durante le Cinque giornate di Milano, Emma Ferretti e Antonietta De Pace che sfilarono a Napoli a fianco di Garibaldi, Adelaide Cairoli che finanziò giornali patriottici, Colomba Antonietti che affrontò di persona le truppe borboniche, l’ospedale da campo di Carolina Santi Bevilacqua, Teresa Perissinotti Manin che a Venezia coordinò l’equipaggiamento dei volontari che si opposero agli austriaci, Maria Gambarana Frecavalli che tra i suoi capelli nascondeva i messaggi tra i congiurati delle diverse regioni, Bianca Milesi pittrice e femminista che disegnò l’emblema tricolore del battaglione Minerva e inventò un sistema di comunicazione crittografato, Colomba Antonietta Porzi che, in prima linea, perse la vita sotto il fuoco dell’artiglieria francese, Giuditta Tavani Arquati che trasformò la sua casa di Trastevere nella dimora dei patrioti, la garibaldina Tonina Marinelli che sbarcò in Sicilia coi Mille, i salotti di Costanza D’Azeglio e quelli di Clara Maffei che raccoglieva fondi per finanziare armi e munizioni per le Cinque giornate, Olimpia Rossi Savio, la madre dei salotti risorgimentali torinesi, Giuditta Bellerio Sidoli che cucì con le sue mani, rischiando la pena di morte, il tricolore che sbandierava marciando durante i moti di Modena del 1831 e infine Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, Anita Garibaldi, che dedicò la sua vita alla libertà e all’indipendenza dei popoli. E a tutte quelle che non troveremo mai in alcun documento, ma il cui valore è nei piccoli e grandi progressi del nostro Paese. Continua a leggere