L’orgoglio è di tutti! Non sprechiamolo

Ieri sabato 3 luglio è stato il giorno del Roma Pride.
Io non c’ero, perchè sarei andata solo per sentire della musica allegra e per assistere alla capricciosa creatività di costumi, carri, piume e pailletes.

Sì, c’è un leggero tono polemico in queste parole che si unisce, seppur per delle ragioni diverse, alla voce di tanti altri (ma non voglio entrare nel merito della questione perchè non sono sufficientemente informata dei fatti) che, come me, rivendicano a gran voce i diritti civili per chi ha semplicemente gusti sessuali differenti.

Manifestare è un diritto, un dovere, ma anche un’opportunità per dimostrare ciò che si è veramente e non fenomeni da baraccone (lo scrivo con la morte nel cuore) come purtroppo l’immaginario omosessuale continua ad essere da essi stessi rappresentato.

Amo la musica festante e i colori dell’arcobaleno, simbolo dell’armonia delle diverse sfumature di un unico grande colore, quello variopinto dell’umanità.

Ma la bandiera dei diritti civili dovrebbe smettere di sventolare sulle note degli ABBA  e di Madonna per svelare finalmente i reali volti delle diverse umanità appartenenti all’unica grande comunità civile di cui tutti facciamo parte e che è mossa, oggi più che mai, dall’urgenza della riconoscibilità attraverso le difficili conquiste sociali e politiche di tutti i giorni.

Diamo voce non alla rabbia, né tanto meno alla vacuità di spettacoli e balletti, ma alla legittima richiesta di riconoscibilità, laicità, autodeterminazione e comunicazione aperta e pacifica con le vecchie istituzioni attraverso proposte politiche concrete e strutturate.

Il rumore della rivendicazione deve essere colorato, divertente, ma il diritto va reclamato con una lotta pragmatica che affila piuttosto le armi dell’ironia come i meravigliosi manifesti del pride napoletano, estremamente più rappresentativi della comune collettività omosessuale.

Il pride è di tutti e appartiene alla comunità umana tutta, perciò io dico NO ai cartelli “Ero etero, ma sono guarita“! Perché la sessualità è una scelta emozionale e non una malattia, nè da un lato, nè dall’altro.
Si lotta insieme, nella diversità, ma uniti da un unico grande diritto, la civiltà e l‘integrazione contro l’unica grande perversione,  il clima di violenza e odio che si sta manifestando troppo spesso soprattutto nella nostra solare Capitale.

Qui i manifesti del Napoli Pride.


Created By – Hagai Levi

Il secondo incontro con Created by ci ha fatto conoscere Hagai Levi, il  creatore del tv drama israeliano Be Tipul, dal quale è stata  tratta  la serie americana  In Treatment.

La prima volta che Levi si rivolse a uno psicoterapeuta aveva 15 anni.
Poi smise e poi ricominciò.
Scoprì che il mondo interiore può essere rappresentato attraverso dialoghi e immagini minimaliste e nacque così l’idea di Be Tipul, racconti di vita che si dipanano attraverso il confronto di diversi personaggi con lo psicologo, Reuven Dagan.

Ma il terapeuta non è mai immune alle storie dei suoi pazienti.

In Be Tipul il protagonista è proprio Reuven e la parte più buia di sé che emerge dalle relazioni drammatiche coi suoi pazienti. Ciascuno di essi, infatti, è in grado di scardinare le certezze che lo hanno guidato durante gli anni della sua carriera professionale suscitando dinamiche relazionali conflittuali complesse.

Il set dressing è costituito da una casa con un grande giardino che viene spesso ripreso nelle inquadrature a significare che il mondo esterno è anche protagonista delle vicende dei pazienti. Lo studio terapeutico è al piano inferiore della casa privata di Reuven e sottolinea la profonda interferenza nella sua attività.
Reuven è sempre sul ciglio di una scogliera, in bilico tra il suo aspetto umano e quello professionale: terapeuta e paziente diventano così entrambi archetipi universali con cui confrontarci.

Ogni puntata racconta il caso di un singolo paziente attraverso 3 momenti di svolta (struttura in 3 atti):

  • il paziente porta qualcosa da fuori;
  • il terapeuta convince il paziente che ciò che egli sta raccontando non è ciò che vuole raccontare;
  • cosa può fare il paziente con queste informazioni.

Il lunedì è il giorno di  Na’ama, vittima di un transfert verso il suo terapeuta il quale ammette di ricambiare i suoi sentimenti. Il controtransfert turba profondamente Reuven.

Il martedì invece tocca a Yadir,  un pilota colpevole di aver sganciato, durante un’operazione di guerra, una bomba che fece molte vittime. Il  senso di colpa sembra non opprimerlo, ma dietro alla sua paura di volare si nascondono i complessi rapporti con un padre autoritario e una moglie infelice che lo porteranno e essere vittima di un incidente aereo. Ma il dubbio che possa essere stato un suicidio mette Reuven di fronte ai propri limiti professionali.

Mercoledì è il turno di Ayala è una ginnasta teenager, reduce da un incidente automobilistico, che forse lei stessa ha causato. La ragazza rivela diverse analogie comportamentali con la figlia di Reuven.

Il giovedì è dedicato alla terapia di coppiaMichael Orna, dopo innumerevoli tentativi di fecondazione artificiale, stanno finalmente per avere un bambino, ma qualcosa sembra essere cambiato. La loro incapacità comunicativa si rispecchia nel profondo disagio che Reuven sta vivendo nei confronti della moglie a causa di Na’ama.

Il venerdì Reuven passa dall’altra parte e dà voce ai suoi turbamenti personali di fronte alla sua terapeuta Gina.

Scrivere la puntata del venerdì, la più difficile, ha convinto Levi che la serie poteva  funzionare in televisione.

Ma si rese subito conto che tale progetto non si sarebbe mai potuto vendere sulla carta.
Decise così di auto prodursi due puntate pilota (in fondo quel tipo di riprese con solo due attori e un’unica location, prevedono un budget molto risicato).

La tv via cavo in Israele, oltre a essere interessata al prodotto, è molto e ricca e può permettersi di sperimentare. Inoltre esiste anche una normativa che li obbliga a produrre un certo numero di tv drama.
Levi fu così messo nelle condizioni per girare tutta una prima serie dedicata a un pubblico intellettuale e nottambulo.

Scelse attori israeliani,  molto rinomati e famosi (in Israele gli attori passano indistintamente dal cinema alla tv) e dalla seconda settimana Be Tipul divenne un fenomeno ottenendo ottime recensioni soprattutto per l’elevata qualità della scrittura.

Il tutto infatti si regge sulle parole: 30 minuti per 30 pagine di dialogo. Non c’è improvvisazione, ogni singola parola pronunciata è stata scritta e provata più volte.

Essendo uno stile molto realistico che ripercorre gli archetipi (molto lontano dallo stile  parodistico del cinema di Woody Allen)  il pubblico si è immedesimato talmente tanto che molti hanno intrapreso o ripresero un percorso di psicoterapia.

Lo stile registico è semplice ed essenziale e in fase di montaggio si cerca di affinare l’impatto emotivo dando  rilievo anche al linguaggio non verbale che in certi momenti riesce a restituire compassione  più di mille parole.

Levi è anche showrunner della serie ed è sempre presente sul set.
Nel suo team di scrittori c’è un headwriter con cui definisce i personaggi e le linee guida, e sceneggiatori dalla diversa formazione culturale, ma tutti rigorosamente  con esperienze di personale percorso terapeutico.

Ogni scrittore gestisce un personaggio e costruisce la puntata che lo riguarda.
La supervisione e la riscrittura è definita invece dallo stesso Levi che si concentra soprattutto su Reuven affinandone le sue peculiarità.

Naturalmente risulta necessario anche un confronto con uno psicologo professionista che apporta le informazioni utili a dare credibilità alla storia. Durante questi incontri spesso si determinano le dinamiche della terapia di gruppo per cui lo scrittore struttura, lo psicologo destruttura.

Il format è stato riproposto in diversi paesi. Il più conosciuto è senza dubbio la versione americana In Treatment con Gabriel Byrne.

Adattare le stesse storie in paesi differenti è un lavoro complesso.
Ciascuno ha la propria cultura, tradizioni e dinamiche sociali differenti che determinano disagi differenti, per cui una donna quarantenne senza figli a New York rappresenta un caso estremamente comune che suscita un imbarazzo relativo rispetto alla percezione che può averne la società israeliana.
E poi non dimentichiamoci che Israele è uno stato che deve fare i conti con una guerra che li lacera da troppo tempo.

Ogni paese ha le proprie ferite.

Quali siano quelle  italiane  potremo scoprirlo presto.
Infatti Wilder e Rai 4 stanno lavorando al format coordinato dall’ headwriter Nicola Lusuardi.

Speriamo che questo progetto possa finalmente regalare prestigio all’immaginario della fiction italiana.

I finalisti del Premio Solinas – SACT: PILOTI PER SERIE TV

Ieri sera presso Informale Loft a Roma sono stai annunciati i finalisti della prima edizione del PREMIO SOLINAS – SACT: PILOTI PER SERIE TV.

Il premio è nato lo scorso anno all’interno dei dibattiti sullo stato della fiction italiana durante il Roma Fiction Fest, con l’intento di promuovere e portare alla luce i talenti creativi che ci sono nel nostro Paese e che spesso incontrano mille difficoltà nel proporsi alle produzioni e ai broadcaster.

L’associazione Premio Solinas ha così deciso di dare una svolta e un’evoluzione al suo progetto e ha indetto su proposta della SACT il concorso per sceneggiature inedite di puntate pilota per serie televisive da 50 minuti.

Con il supporto della Fondazione Roberto Rossellini per l’Audiovisivo, Rai Fiction e RTI – Mediaset e con il patrocinio di APT (Associazione Produttori Italiani) e del Roma Fiction Fest, il premio si propone di dare una voce nuova e sperimentale alla nostra fiction e di stringere legami tra vecchi produttori e nuovi talenti della scrittura seriale.

Annamaria Granatello, direttore artistico del Premio Solinas ha annunciato le opere che concorreranno al Premio per la migliore sceneggiatura di 12.000 euro e alla Menzione Speciale di 3.000 euro:

  • DOPO LA PIOGGIA di Nello Calabrò
  • GUERRA di Menotti (Roberto Marchionni), Marco Marchionni, Lisandro Monaco.
  • L’ULTIMO GIORNO DEL RE di Valerio Attanasio, Matteo Rovere, Sydney Sibilia
  • MILANO DA BERE di Filippo Bologna, Tommaso Capolicchio, Andrea Garello, Marcello Olivieri.
  • RICOMINCIO DA CAPO di Andrea Bacci
  • SECOLO di Nicholas Di Valerio

A questa prima edizione hanno partecipato 189 progetti pervenuti in forma anonima, che sono stati valutati dai Giurati del Comitato Editoriale. Ciascuno script è stato esaminato da due giurati differenti per superare i limiti del gusto personale. Le coppie sono state unite anonimamente.
Da questa prima selezione è nata una discussione che ha portato alla rilettura dei copioni più interessanti da parte di più giurati che hanno scelto 17 progetti.
Dopo un’ultima accesa e vivace discussione sono stati scelti i suddetti 6 finalisti da una giuria composta da:

Federica Bosco, Daniele Cesarano, Claudio Corbucci, Ivan Cotroneo, Salvatore De Mola, Cristiana Farina, Annamaria Granatello, Guido Iuculano, Chiara Laudani, Nicola Lusuardi, Paola Pascolini, Francesco Piccolo, Monica Rametta, Simone Regazzoni, Alexis Sweet, Mattia Torre, Gino Ventriglia, Monica Vullo, Monica Zapelli.

Ma la giuria si è anche dovuta confrontare con un serio problema: uno dei finalisti è figlio di una dei giurati!

Per dare credibilità e serietà alla valutazione, e per non penalizzare il progetto selezionato, la giurata coinvolta ha preferito dimettersi e da ciò è nata un’ulteriore discussione.

Considerata la non sussistenza della violazione delle norme e del regolamento, alla presenza di un legale, è stata dichiarata la non esclusione del progetto imputato.

Certamente questo avvenimento attirerà a sé polemiche, critiche e tentativi di incrocio di nomi per individuare la parentela incriminata.

Al di là di tutto ciò mi auguro che questo possa essere l’inizio di una svolta verso la qualità e l’innovazione di cui le nostre serie tv hanno tanto bisogno, non solo per essere concorrenziali sul mercato internazionale, ma anche per restituire quella dignità artistica e creativa nella produzione degli audiovisivi che l’Italia sta perdendo soffocata da assurde logiche di mercato e dall’involuzione culturale di cui siamo vittime da troppo tempo ormai.

La Premiazione finale si terrà il 6 Luglio alle ore 18.00 presso l’Auditorium Conciliazione.

il 7 Luglio, invece, alle ore 10.00  presso la sala 7 del Cinema Adriano, si aprirà il dibattito su “Prove di serialità: Piloti e nuovi modelli di sviluppo editoriale”.

Ma questi sono solo alcuni degli appuntamentiche ci riserva il Fiction Fest.

Stay tuned!

Qui la  CARTELLA STAMPA FINALISTI.

Invictus

I grandi avvenimenti sportivi sono gli unici momenti in cui il mondo sembra fermarsi per perdersi nel sogno della vittoria.
Sta accadendo in questi giorni con la Coppa del Mondo che si sta disputando in Sudafrica e avvenne 15 anni fa proprio nello stesso Paese in occasione dei Mondiali di Rugby che rappresentarono una svolta importante nella storia della Repubblica Sudafricana.
John Carlin lo ha raccontato nel suo romanzo “The Human Factor: Nelson Mandela and the Game that Changed the World“, Clint Eastwood ce l’ho regalato attraverso le immagini del film Invictus con la sopraffina interpretazione di Morgan Freeman (Nelson Mandela) e Matt Damon (François Pienaar).
L’11 febbraio 1990 dopo ventisette anni, centottantanove giorni e 15 ore il leader storico dell’ANC (African National Congress) Nelson Mandela lascia la cella 46664 del carcere di Robben Island.

Quel giorno le aspirazioni della popolazione nera del Sudafrica assunse i colori della speranza, i bianchi (gli Afrikaner) invece, cominciarono ad avere paura.

Un corteo di auto scivola lungo la strada dove i bambini di colore corrono attraverso la loro miseria, si aggrappano alla rete e acclamano a squarciagola Mandela. Nelle inappuntabili casette degli Afrikaner si diffonde il timore per la perdita dei propri privilegi e il terrore della rabbia di quel popolo represso e umiliato da anni di apartheid.
Madiba, titolo onorifico con cui viene rispettosamente chiamato Mandela, dal nome del clan cui appartiene, è pienamente consapevole della tensione sociale in cui affoga il suo Paese, dilaniato dallo sfacelo delle lotte interne per la rivendicazione dei diritti sociali. Il Sudafrica si è tinto dei colori dell’ orrore e della violenza per troppi decenni e il 10 maggio 1994 Mandela “dipinge” il suo governo coi colori dell’unità nazionale: nasce l’era della Rainbow Nation.

Abbiamo bisogno di superare le nostre aspettative per costruire la nostra nazione, abbiamo bisogno dell’ispirazione” racconta Mandela François Pienaar, il capitano della nazionale di rugby, gli Springboks.
E questa ispirazione diventa tangibile non attraverso discorsi ufficiali e complesse strategie politiche, ma offrendo il sogno della vittoria e del trionfo. Gli chiede, in altre parole, di vincere dal Coppa del Mondo.
La squadra, fortemente sostenuta dagli Afrikaner, ma non dai cittadini sudafricani di colore, ha da sempre rappresentato il vessillo dell’odio razziale e per tale ragione era stata bandita dai campi di tutto il mondo. Ma nel 1995 il Sudafrica viene scelto quale paese ospitante i mondiali di rugby.
Per Mandela è l’occasione per regalare alla sua gente l’ebbrezza dell’unità di un popolo sotto la bandiera colorata dello Stato del Sudafrica. Non cancella la natura della squadra cambiandone il colore della maglia o il nome, ma parte proprio dalla sua identità così radicata e le regala la suggestione della vittoria sostenendola apertamente, aprendosi ad essa, tifandola pubblicamente con entusiasmo. Chiede alla squadra di scendere in mezzo alla gente e di farsi amare dalla nazione.
Trasferisce alla squadra la consapevolezza di rappresentare un popolo intero che crede di potercela fare, di poter vincere la propria battaglia e sul campo di rugby e sul campo dei rapporti politico/sociali.
E sarà proprio il Presidente Mandela, con indosso la maglia degli Springboks, a consegnare al capitano Pineaar la Coppa del Mondo davanti agli occhi dei cittadini sudafricani esultanti.
Il rugby ha rappresentato in quel momento che il tifo per un ideale condiviso può trasformare il sogno di unità nazionale in realtà: one Team one Country!

La regia scorrevole, che non si sofferma su scene intimiste e dal forte impatto emotivo, non ha bisogno di retorica e sentimentalismi, nè tantomeno di un taglio agiografico, e riesce a restituire con forza la grandezza di un uomo speciale.
In questa poesia, Invictus, Mandela trovò l’ispirazione per per andare avanti quando il suo unico desiderio era lasciarsi andare nei lunghi anni della prigionia.

Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

Il prossimo 16 luglio a Madrid si celebrerà il Mandela Day cantando la pace, la libertà e i diritti umani.

Created By – Incontro con Toby Whithouse

Anche quest’anno la SACT (Scrittori Associati di cinema e Televisione), in prossimità dell’inaugurazione del Roma Fiction Fest ha dato il via a Created by, un progetto di incontri e confronti con importanti autori stranieri di serie televisive.

Quest’anno la Casa del Cinema non ha potuto mettere a disposizione i suoi comodi e funzionali spazi per delle ragioni che io ignoro e che suppongo essere dovute alle proposte dell’amministrazione comunale di una trasformazione d’uso della struttura.

Il convegno si è spostato perciò, presso la sala del cinema dell’ANICA che ha accolto il primo ospite Toby Whithouse, creatore della serie Being Human, in onda sulla BBC Three e che ha conquistato nel 2009 il Writers’ Guild Award come migliore serie drammatica.

La serie giunta alla sua terza stagione, racconta la storia di 3 giovani ventenni che condividono un appartamento a Bristol come tanti altri ragazzi della loro età tranne che per una sostanziale differenza: sono un vampiro ultracentenario, un licantropo e un fantasma!
Sono “persone diverse” che aspirano, come suggerisce il titolo, a essere umani, a confondersi nel mondo con le loro normali storie. Personaggi inquietanti e misteriosi che si confondono nei labili confini del Bene e del Male trascinano i nostri eroi in un cammino oscuro costellato di scontri, scelte delicate e dolorose prove d’amore in cui ciascuno dovrà fare i conti con il proprio passato.

L’autore ha scelto di presentarci la quinta puntata della prima serie ricca di gran parte degli elementi fondanti dell’intreccio in cui si fondono drama, horror, fantasy e comedy esattamente come lo è la vita reale in cui si alternano sorprese e svolte ciascuna col proprio bagaglio drammaturgico.

In Being Human però i momenti comedy rasentano il ridicolo e disturbano la tensione emotiva piuttosto che completarla. Per stessa ammissione di Withuose, infatti, la prima versione dello script aveva la forma di sit-com, ma fu rivista perché la trama risultava troppo esile e mancava di carica emotiva, così come i personaggi troppo assimilati alla società. Tale residuo, a mio avviso, è ancora percepibile, ma mi riservo di contenere il giudizio avendone visto solo un episodio.
Mettersi nel mood di un film americano indipendente low budget, ha raccontato Withouse, gli ha permesso di dare vita a una struttura più forte e credibile e solo nel momento in cui si convinse che la serie non si sarebbe più fatta, si sentì libero di trovare la propria voce.
Il consiglio che ha regalato agli aspiranti sceneggiatori in sala è stato: scrivete come se il vostro script fosse destinato a un fallimento!

E fu così che la BBC rispose positivamente dirottandolo però verso il pubblico della BBC Three.
Il pilot riscosse molto successo e fu supportato dalle numerose mail di fan che tuttora continuano a proporre spunti e suggerimenti. Ma spesso le voci dei fan sono contraddittorie e questa è una delle ragioni per cui Withouse continua a scrivere seguendo le proprie idee.

E da ex attore l’ attenzione e la cura dei personaggi rimane comunque una priorità e un punto di partenza per l’evoluzione della trama.

Being Human contiene tutti gli ingredienti accattivanti per la succulenta fetta di pubblico dai 16 ai 25 anni, per quanto, Withouse si premura di sottolineare di non aver scritto pensando a un target specifico, ma di aver messo in scena ciò che egli stesso avrebbe voluto vedere.

Being Human è andato in onda in Italia sullo spazio SciFi di Steel che lo riproporrà dal prossimo agosto.

Negli Stati Uniti verrà prodotta una versione della serie di almeno 13 episodi che andrà in onda su Syfy.

UPDATE: Per chi volesse avere un’idea degli script originali la BBC mette a disposizione alcuni episodi nella sua Writersroom.

Forum della Comunicazione – Il web continua a spaventare

Come una nuvola che cambia rapidamente, tentare di affrontare le mutazioni del variopinto universo della comunicazione, può avere diverse sfaccettature.

Al Forum della Comunicazione di Roma manager, giornalisti e imprenditori hanno dato luogo a discorsi, prevalentemente a senso unico, in cui, chi più chi meno, ha promosso le proprie manovre aziendali inserendole in autorevoli scenari innovativi.

Parlare di interazione senza fare interazione risulta alquanto paradossale, ma questo forum ha dimostrato che è possibile: tanti piccoli monologhi, diversi anche interessanti, sui cambiamenti del modo di fare informazione e il ruolo che i nuovi media hanno nella creazione del rapporto di fiducia con gli utenti.

Un salotto cattedratico e “polveroso” concentrato più che altro sulla scoperta del valore relazionale della rete, della sua accezione di strumento atto a comunicare a molti secondo standard spazio temporali abbreviati.

Ma la reale trasformazione e la portata rivoluzionaria sta nella creazione orizzontale, autonoma e indipendente dell’informazione, col suo carattere di multidirezionalità e col suo spazio pubblico, il web, facilmente (seppur non sempre) accessibile, dove il confronto, lo scambio e il dissenso trovano la loro voce e la loro natura propositiva nelle mobilitazioni dal basso.
I cittadini diventano reporter, conquistando una ancora troppo piccola affermazione sociale e collettiva.

Etica e fiducia pertanto diventano valori centrali in questo passaggio da un potere editoriale chiuso a una forza aperta e condivisa. Una percentuale altissima delle informazioni infatti provengono da blog, social network e giornalismo partecipativo che disorienta e intimorisce coloro che finora hanno vestito di autorevolezza il loro potere di gestione delle informazioni, siano esse di natura giornalistica che di natura prettamente commerciale e di business.

Il web continua ancora a spaventare e tale timore si confonde nella visione di una Rete caotica e indisciplinata, la cui verifica dei contenuti viene disposta non come equivalenza di trasparenza, ma come forma di controllo e, in casi estremi come il nostro Paese, di tentativi di censura.

Oggi in Italia, e questo è emerso chiaramente, si ritiene che l’informazione di qualità provenga solo dai giornalisti che garantiscono notizie attendibili e controllate. E ciò avrebbe una sua plausibilità se ci fosse lo spazio anche per l’informazione divergente in un dibattito e un confronto continuo.

Gli “autorevoli controllori” delle notizie continuano a muovere le solite critiche verso il nostro Paese disegnato come passivo, arlecchino e autoassolvente, in cui nessuno si prende le proprie responsabilità, ma tali critiche continueranno ad avere una possibile presa finché non si darà voce a tutte le opinioni attraverso un lessico del confronto.

Forse la Rete stessa non ha ancora trovato un suo linguaggio credibile e fidato ed è costretta ancora a fare la voce grossa confondendosi nella lotta piuttosto che distinguendosi nel confronto.
Ma come si può farlo in un paese refrattario all’innovazione e ostile al cambiamento?

E in una sala schermatissima e priva di ogni possibilità di connessione, un’inedita Tag Cloud live ritrasmetteva in loop sempre i soliti pochi tweet della sala stampa dell’Auditorium, privilegiata dall’accesso alla rete.
Previa iscrizione alla rete wifi della provincia!

Questo è il ritratto del paese reale con il quale dobbiamo confrontarci tutti i giorni e verso il quale abbiamo il dovere di raccontarne le sue sfaccettature fino a quando avremo gli strumenti per poterlo fare.


Roma Fiction Fest – Conferenza stampa

Venerdì 11 in una sala dal clima equatoriale di un albergo romano, tra una platea maleducata e chiacchierona si è svolta la Conferenza Stampa della quarta edizione del Roma Fiction Fest.

Insieme alla Fondazione Roberto Rossellini, che trova la sua mission nel fornire servizi alle imprese del cinema e dell’audiovisivo, all’APT (Associazione Produttori Televisivi), al sostegno della Camera di Commercio che si propone di creare le condizioni di crescita economica del nostro paese, alla direzione di Anthony Root per la sezione Industry e con la direzione artistica di Steve Della Casa, questa edizione promette di presentare piccoli ma profondi cambiamenti nella direzione di qualità e internazionalizzazione.

Quest’anno infatti si è scelto di scegliere un numero ridotto di opere per favorire una selezione più accurata, senza snaturare la natura nazional popolare di un festival che promuove prodotti televisivi destinati al grande pubblico.
Ma la rassegna ha anche un’anima prettamente commerciale che è quella riservata all’Industry e al Buisness.

Presso la Sala Tesi della LUMSA si svolgerà Industry Week che vedrà alternarsi:

  • RomaTvScreenings durante i quali gli executives stranieri potranno visionare i nostri prodotti italiani già editi e inserirli nei loro palinsesti,
  • i RomaTvPitching durante i quali invece verranno visionati progetti in via di sviluppo al fine di dare il via a eventuali coproduzioni e partnership,
  • la sezione Doing Business with… in cui gli executive stranieri e italiani possono condividere informazioni sui mercati di ciascun paese alla scoperta di possibili sinergie.

Proprio per valorizzare i mercati che si sono distinti nella produzione di prodotti audiovisivi d’eccellenza, è nato il Premio RomaFictionFest Award for Industry Excellence che quest’anno sarà consegnato agli Abc Studios, che hanno promosso le cult series che noi in Italia ben conosciamo da Lost a Grey’s Anatomy passando per Desperate Housewives.

Anche l’Italia riceverà il suo Premio Speciale RomaFictionFest per l’impegno produttivo nella persona di Claudia Mori che con la sua casa di produzione, Ciao Ragazzi, è stata tra i protagonisti del festival sin dal primo anno.

Il Concorso Internazionale in questa edizione prevede solo tre tipologie di premiazione: Tv Drama, Tv Comedy, Tv Factual.

Ma il Fiction Fest è ricco anche e soprattutto per i suoi eventi speciali, come le Masterclass e i Convegni, le Retrospettive come quella dedicata al giallo in bianco e nero, o l’ampia sezione dedicata alla musica alle grandi biografie di artisti che hanno segnano la storia della musica mondiale.

Sono previste tre importanti anteprime italiane:

  • Il sorteggio, che narra le vicende del primo processo sulle Brigate Rosse
  • Le ragazze dello Swing, che racconta la storia del Trio Lescano,
  • Il Peccato e la Vergogna, con Gabriel Garko e Manuela Arcuri.

Per le serie tv americane ci sarà l’anteprima del pilot di un nuovo procedural drama, Body Of Proof, diretto da Nelson McCormick e scritto da Christopher Murphey.

Ma ci saranno anche altre anteprime internazionali tra cui, per la prima volta, una produzione cinese che tocca le delicate tematiche familiari.

Le sedi del Festival sono come l’anno scorso, la Multisala Adriano, l’Auditorium Conciliazione e le Sale della Lumsa per la settimana dell’Industry.

Una delle novità di quest’anno è il Villaggio della Fiction, allestito sotto Castel Sant’Angelo dove si avrà la possibilità di viaggiare all’interno di tutti i processi di lavorazione di un set, dalla recitazione al trucco, dai provini con You Casting al doppiaggio e al montaggio.

C’è anche uno spazio per bambini, il RomaBabyFest, che potranno incontrare il mondo della fiction attraverso i giochi e i laboratori di Explora (Il Museo dei bambini di Roma).

Mini troupe universitarie si aggireranno nei luoghi del festival per la realizzazione dei loro reportage.

Un’entusiasta Veronica Pivetti, madrina del festival, dopo aver ripercorso le tappe più importanti della sua carriera nella fiction italiana, ha espresso la sua opinione sul triste momento di censura che sta vivendol’Italia che, imbavagliando l’informazione, nasconde realtà difficili e perverse del nostro paese che spesso diventano lo spunto per la nascita di fiction e docufiction importanti di inchiesta, che rappresentano anch’esse un patrimonio importante per il diritto all’informazione del nostro paese.

Anche quest’anno il Fiction Fest collabora col Blindsight Project garantendo proiezioni sottotitolate e con audiodescrizione.

Il momento V.I.P. della conferenza ha visto il rapper e attore di NCIS Los Angeles, LL Cool J, il quale, col suo discorso, non ha aggiunto nulla di più a quanto fosse stato già detto e che potesse interessare il pubblico presente.

Questo è il ricordo che ho del suddetto di quando ero giovane adolescente innamorata.

E preferisco decisamente questo, ma solo per quel nostalgico senso di protezione dei ricordi.

Frontiers of Interaction – Spime Design Workshop – the future is here!

David Orban è presidente di Humanity+, fondatore e Chief Evangelist di Wide Tag e si occupa di tanti altri progetti accomunati da una forte spinta motivazionale a dare voce al nostro pianeta, ai suoi elementi e a permettere loro di interagire con gli esseri umani in vista di una pacifica convivenza e di uno sviluppo collettivo democratico e sostenibile.

Tuttavia lo sviluppo tecnologico corre a una velocità maggiore rispetto all’evoluzione e al grado di civilizzazione degli esseri umani per cui si crea un gap comunicativo forte che spesso diventa abissale di fronte alla diffidenza e allo scetticismo delle istituzioni e del pensiero comune.
Il libero e diretto accesso alle informazioni e la possibilità di condivisione di tali conoscenze può costituire il superamento di questo gap.

Interconnettere gli oggetti del mondo è la missione dell’ Internet delle cose, e il suo cuore pulsa nei modelli di rete peer to peer.

Se tutti gli oggetti fossero dotati di sensori (Spime Objects) potremmo comunicare direttamente col mondo, rivolgergli le giuste domande, ascoltarlo, comprenderlo e vivere in armonia con esso, senza la mediazione di una sovrastruttura di controllo e censura delle informazioni.
Il valore di attendibilità della conoscenza dal basso sarebbe in tal modo anche costantemente monitorato ed essa potrebbe delineare gli interventi e le modifiche appropriate e necessarie da apportare ad ogni specifica situazione.

In altre parole questa umanizzazione della tecnologia consentirebbe un approccio diretto e naturale col il mondo, un’alleanza in tutti i campi e in tutti i settori, alla luce della sicurezza e della trasparenza, dando vita a nuovi modelli produttivi.

Gli Spime Objects (SPace+tIME neologismo coniato da Bruce Sterling) sono costituiti da  GPS (per cui sanno dove si trovano), memoria (hanno percezione e consapevolezza di se stessi), sensori (attraverso i quali percepiscono il mondo e misurano le informazioni) e hanno capacità di comunicazione (condividono i dati raccolti con la nuvola di Internet).

Sotto il nostro controllo tali oggetti ci rendono portatori e garanti di queste informazioni che possiamo integrare con la vita quotidiana di tutti.

Ovunque  l’ambiente può essere percepito, controllato, analizzato, misurato e registrato: la sfida dell’Internet of Things è proprio questa: creare, moltiplicare, spiegare e connetterci tutti al grande network dei sensori intelligenti.

Connettere in rete il mondo fisico vuol dire permettere agli oggetti di connettersi l’un l’altro per  mappare ciò che conosciamo e monitorare il pianeta al fine di dare il via a un nuovo modello culturale dinamico basato sugli strumenti di condivisione della cultura. Ciò consentirebbe l’allontanamento dal disinteresse per realtà finora percepite lontane e irraggiungibili e aprirebbe la strada a una partecipazione attiva e consapevole alle dinamiche che riguardano la salute del nostro pianeta nutrendo il sentimento di responsabilità morale per le generazioni future.

Fino ad ora  il network di sensori che ci circondano hanno senz’altro facilitato la nostra vita, ma sono network isolati che si limitano alla raccolta dei dati senza però creare connessioni.

Il web 1.0 ci ha permesso l’accesso a dati isotropici, in altre parole ha reso la consocenza disponibile.

Il web 2.0 ha reso disponibile le diverse applicazioni che permettono l’interazione dei dati tramite i Social Network.

Internet delle cose e la prossima generazione di device (gli Spime Objects, appunto) possono invece rendere fattibile una ricivilizzazione globale del pianeta. Queste reti di sensori distribuiti consentono finalmente di prevaricare i dogmatismi di una cultura imposta e non direttamente percepita.

Ma entriamo nello specifico.

Wide Tag è una start up la cui mission si nutre della filosofia dell’Internet of Things.
Wide Tag lavora da anni sugli Spime Objects per consentirci di riappropriarci del nostro diritto di avere un contatto diretto col mondo, ampliando le nostre capacità di sentire e percepire attraverso un sistema per rilevare in tempo reale l’ambiente circostante e raccoglierne le informazione per renderle accessibili su internet o su dispositivi portatili.

Wide Tag ha elaborato Wide Spime una piattaforma per la raccolta dei dati e il calcolo in real time, che utilizzando il protocollo Open Spime, (rigorosamente opensource) permette ai dispositivi fisici di comunicare i propri dati.

Alcuni esempi di spime objects su cui Wide Tag sta lavorando sono:

  • CO2 meter, un apparecchio che misura la concentrazione di anidride carbonica e permette di visualizzarla su Google Maps, monitorarne i cambiamenti e ovviamente condividerli;
  • Il Social Energy Meter è un device che consente di misurare e quindi controllare l’eventuale dispersione del consumo energetico consentendo di prendere in tempo reale le necessarie misure di risparmio;
  • Wide Noise, che è diventata un app iPhone, permette di calcolare in decibel il livello di rumore nell’area circostante, mapparlo on line, condividerlo su smartphone e computer. C’è anche la possibilità di embeddare un widget sul proprio blog  per distribuire i dati e mostrarli al mondo intero su mappe interattive.

Insomma, oggi più che mai le parole di William Gibson risuonano profetiche: the past is past, the future unformed. There is only the moment, and that is where he prefers to be.

Ecco perché oggi viviamo in un Science Fiction World, perché la meraviglia suscitata dalle ipotesi di mondi paralleli e tecnologicamente evoluti raccontati dagli scrittori di fantascienza hanno inspirato ingegneri, imprenditori e scienziati ad accettare la sfida, a compiere il loro “viaggio interstellare” sfidando tabù e censure alla ricerca di idee e intuizioni oltre il rigido controllo della logica. In altre parole: ipotizzare un mondo migliore e renderlo reale!

Non so quanto tempo ci vorrà affinché tutto ciò divenga realtà comune e fruibile da tutti, ma è pur sempre un segnale di un nuovo modo di pensare ormai necessario!

Come ricorda sempre Gibson The future is already here, it is just unevenly distributed.

Lavoriamoci insieme!

Ulteriori info qui: Technoart Event 2009

iPhone 4 a luglio tra noi!

Ho appena finito di seguire il live blogging dalla Apple Worldwide Developers Conference documentato con dovizia di precisione da Camillo Miller su The Apple Lounge.

Questo è quanto ho appreso e voglio condividere riportando le descrizioni fatte da Camillo:

iPhone 4 ha oltre 100 nuove features!

Il design è esattamente quello mostrato nel prototipo: acciaio inox intorno e vetro davanti, 9.3mm spessoremicrosim su un lato.

La fotocamera (5 megapixel) ha il flash led e raggiunge uno zoom 5x.  Un sensore retroilluminato consente di catturare i fotoni in condizioni di luce pessime restituendo una nitidezza delle immagini superiore.

Il retina display permette una risoluzione 960×460 pixel, il 78% dei pixel di un iPad!

La fotocamera HD, sistema a 720p , 30 frames al secondo, si avvale di una funzione di video editing incorporato per editare i filmati al volo. Inoltre può anche assegnare informazioni di geolocalizzazione alle immagini.

iPhone 4 è dotato di Chip A4 che consente uno storage fino a 32 GB e una maggiore durata della batteria, che però è più grande. E inoltre ci sono nuove API per la gioia dei developers.
Ma soprattutto è ecologico e altamente riciclabile.

Il nuovo Iphone 4 possiede due microfoni per la cancellazione del rumore e un giroscopio, per cui girellando col telefono in mano, si muove lo schermo.

Come già detto da tempo è multitasking e tramite iBooks, l’ iBookstore diventa direttamente accessibile consentendo di scaricare un libro e averlo su tutti i dispositivi pagandolo una volta sola.

Anche iAds, il nuovo servizio di mobile advertising, è una realtà.

In due colori, bianco e nero, 16GB e 32 GB, dovrebbe mantenere lo stesso prezzo del 3GS (a seconda dei contratti coi gestori telefonici italiani).

Ma iPhone 4 è tanto altro ancora!

In Italia uscirà a Luglio e ad Agosto è il mio compleanno! :D

UPDATE:

Qui il video del keynote di Steve Jobs!

Frontiers of Interaction – La controcultura visionaria nella lotta alla “Sindrome della pastasciutta”

Durante la prima giornata di Frontiers of Interaction la Fondazione COTEC, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, il mensile WIRED e con il sostegno di futuro@lfemminile, (il progetto di responsabilità sociale per le pari opportunità di Microsoft e Acer) ha presentato il rapporto sullo stato dell’Innovazione in Italia.

Oggetto di indagine è  stata la relazione tra donne, scienza e tecnologia in una fascia di età che va dai 30 ai 44 anni.
(foto di Leeander)

Gli stereotipi di genere e una differenziata percezione tra uomini e donne sui rischi e i benefici aderenti allo sviluppo tecnologico sono le amare considerazioni che emergono da tale ricerca.

L’innovazione ha migliorato la vita delle donne, rendendole multitasking e consentendo loro di gestire al meglio il tempo, ma lo scenario di crisi con cui anche le donne si trovano a dover fare i conti suggerisce una certa sfiducia nel futuro, per cui le stesse donne, in una situazione di congiuntura avversa, ritengono opportuno che siano esse stesse a perdere il lavoro piuttosto che gli uomini.

In conclusione risulta necessario attuare strategie politiche e di informazione relative al riconoscimento delle differenze di genere, strategie intese come azioni volte a riconoscere il ruolo che la componente femminile ricopre nella società anche come valore aggiunto allo sviluppo economico e sociale del nostro paese.

Durante la tavola rotonda sull’innovazione con Riccardo Luna (Wired), Salvo Mizzi (Working Capital), Claudio Roveda (COTEC), Giorgia Petrini (GPA) e Pietro Scott Jovane (Microsoft), quest’ultimo, analizzando questo dato, ha ricordato l’importanza di modelli organizzativi aziendali che prevedano solo la presenza intellettuale e non fisica e dove i team possano essere gestiti attraverso gli strumenti tecnologici.
Questo aiuterebbe le donne, che di fatto continuano ad essere responsabili del ménage familiare, non solo a proseguire la propria carriera professionale al pari delle condizioni di un analogo maschile, ma anche a padroneggiare i tools che offre l’era digitale.

A questa considerazione si aggiunge quella di Claudio Roveda per il quale diffondere la cultura dell’innovazione ai diversi strati sociali e nelle diverse posizioni territoriali, vuol dire avere una comprensione razionale di tutti i fenomeni tecnologici, al fine di costruire la  società della conoscenza. Favorire cioè, la capacità della gente di comprendere i fenomeni, interagire con essi, di controllarli e di prendere decisioni razionali.

Una maggiore consapevolezza del calibro dello strumento tecnologico al di là del più diffuso uso quotidiano, ma inteso come portatore di valori innovativi è ciò che determina lo stimolo alla ricerca dell’innovazione continua.

Giorgia Petrini infatti ricorda che l’innovazione arriva dal basso e deve necessariamente seguire il suo percorso al di là dei finanziamenti statali che sono pure importanti, ma che purtroppo, soprattutto nel nostro paese, sono ciechi a tali esigenze.

Ecco perché, aggiunge Salvo Mizzi di Working Capital, l’innovazione, in Italia, in questo momento può diventare una formula vincente se supportata da un network di imprese e privati.

Working Capital rappresenta un esempio di questo sistema. Non è un venture capital ma un sistema strutturato di valutazione di progetti, che siano essi di aspirazione imprenditoriale o di ricerca (relativi quindi ai nativi digitali e alle università).

E’ il caso di Netsukuku, progetto di Andrea Lo Pumo, che prevede la commutazione dei punti di rete wireless Wi-Fi in un apparato di smistamento del traffico dati della rete stessa, insomma un progetto di reti autoconfiguranti peer to peer che si basa sull’idea che internet non è il web.

In altre parole, è la realizzazione dell’idea di una rete libera!

Un’idea che sicuramente si scontrerà con una mentalità respingente e ostile.

Ma da sempre lo stimolo ad esplorare le nuove frontiere è dato dalla sfida all’incertezza e all’immobilità rassicurante.
Se l’innovazione tecnologia viaggia su una rete filosofico esistenziale permeata da una forte esigenza di controcultura visionaria, allora si potrà dare il via a quella profonda rivoluzione sociale e culturale di cui abbiamo bisogno.

Ecco di cosa parla lo straordinario speech di Roberto Bonzio (Italiani di Frontiera) “Dobbiamo tutto agli Hippie”.

Enjoy!

to be continued