“Nunc est bibendum!”

“Ora viene la dolcezza della sera,
Riempite la coppa e passatela in tondo”
William Shakespeare

Il vino, con i suoi sapori cangianti, mi ha accompagnato in un viaggio tra i suoi profumi, inebriata anche dal piacere di condividere questa esperienza con le ragazze di Hagakure e con alcuni foodblogger romani.

Ieri sera, infatti, ho partecipato all’evento Voiello ” A Roma con il vino“.

Il vino è stato protagonista assoluto, ma ha espresso il meglio di sé abbinato a tre differenti portate a base di pasta.
Perché il vino ha una sua personalità anche bevuto da solo, ma accompagnato da buon cibo sa essere davvero sublime.

Come in amore, anche in tavola l’alchimia dei sapori è data da un corretto abbinamento e oggi, grazie alla professionalità e alla simpatia della sommelier Eleonora Giglio, il mio palato è un po’ più raffinato e pronto ad accogliere questa sinfonia di sapori con maggiore consapevolezza.

Sul tavolo ciascun piatto si è congiunto con un vino dalla forte identità visiva, olfattiva e gustativa.

Ed ecco che i Vermicelli con gallinella e santoreggia si ravvivano all’incontro con un Perdaudin – Roero Arnais, i Fusilli bucati corti alle sarde e finocchietto si abbandonano all’Occidens – Terzavia Renato De Bartoli e gli Schiaffoni con ragù di agnello al rosmarino rinnovano il loro vigore con un Cagnulari – Isola dei Nuraghi.

Abbinamenti preziosi e raffinati, una morbidezza dei vini tale da preparare la bocca ad accogliere, di volta in volta, sapori differenti.

La consistenza che determina il grado alcolico deve essere perfettamente bilanciata alla persistenza, che è quel gusto, quel sapore che continua a perdurare in bocca.

Ecco perchè spesso vediamo i sommelier roteare il calice. Studiano la circonferenza che il vino lascia sulle pareti con le sue goccioline (tecnicamente dette lacrime) che scendono, più o meno lentamente, disegnando piccoli archetti.

Più archetti e quindi più gocce che scorrono con lentezza, maggiore sarà il grado alcolico.
Un buon vino pertanto ha il compito di conquistare l’armonia tra persistenza e consistenza al fine di accompaganre onorevolmente un buon piatto.

I vini si abbinano al cibo per contrapposizione o per concordanza.

Per piatti molto grassi come il salmone per esempio l’ideale sarebbe un vino frizzante, poco consistente.
Un radicchio, dal gusto amaro e deciso, predilige un vino morbido dalla discreta alcolicità, un bistecca alla piastra il cui grasso si scoglie, può esaltare la sua untuosità con un vino delicato e non troppo alcolico.

Nel caso dei dolci è preferibile un abbinamento per concordanza, ma anche in questo caso bisogna tenere in considerazione la tipologia del dolce. Per quelli cioccolatosissimi (dal 70% in su) sono preferibili il Porto, lo Sherry o l’Ala siciliano. Le paste lievitate invece prediligono gli spumanti e le torte cremose e a sfoglia gradiscono vini non troppo dolci ma dal tasso alcolico impegnativo.
I gelati e i sorbetti sono dolci indipendenti la cui temperatura fredda abbatterebbe il sapore del vino.

D’ora in poi, tutte le volte che mi troverò di fronte a un calice di vino ne osserverò la limpidezza nel tentativo di scoprirne l’età e la tipologia, mi abbandonerò ai suoi profumi e fingerò di riconoscerne il vitigno, il modo in cui è stato affinato, se in botte, se in acciaio, e, infine, ne assaporerò il gusto, riceverò le sue sensazioni tattili e aspetterò che la mia bocca si preparari ad accogliere un buon piatto di prelibatezze.

“Come si ricorda il sapore del vino quando il bicchiere
Ed il suo colore sono ormai perduti”
Kahlil Gibran

Gli Amici

Gli Amici si incontrano, si scelgono l’un l’altro secondo una naturale e inconsapevole selezione. Spesso mille ragioni li accomunano e il tempo li aiuta a costruire fiducia e complicità.

Ma l’Amicizia ha mille facce e domina sul tempo, perché, quando si ritrovano, gli Amici si riconoscono condividendo un piccolo momento, una serata, e creano una corrispondenza di comuni sensi che nulla pretende e gioisce del puro fatto di esistere.

E in quei momenti ci si affida l’un l’altro ballando insieme, cantando insieme e quella condivisione vince su mille consigli e mille abbracci.

Gli Amici amano stare insieme perché è nella loro natura. Ma gli Amici entrano ed escono dalla tua vita quando meno te l’aspetti. Un amico non è per sempre, ma è per quel momento e quel momento assume le sembianze dell’eternità, perché rimane nei ricordi nelle sensazioni e lascia un’impronta indelebile che non sfumerà mai.

L’Amicizia è un incanto perché non finisce mai di stupirti.

Queeringinroma: Children of God

Al Nuovo Cinema Aquila di Roma si è svolto dal 23 al 25 aprile la festa del cinema a tematica LesboGayBisexTransQueer, Queeringnroma.

Purtroppo ho potuto assistere solo ad una proiezione, ma fortunatamente è stata quella della pellicola che ha vinto il premio del pubblico al Torino GLBT Festival. Un premio decisamente emotivo per un film emozionante, Children of God di Kareem Mortimer.

I “Figli di Dio” è un movimento religioso, probabilmente equiparabile a una setta, che si propone di evangelizzare il mondo attraverso azioni, spesso invasive, giustificate da una presunta diretta legittimazione divina.
Tutto ciò che non è contemplato dalla legge divina è considerato abominevole, primo tra tutti l’omosessualità.

La radio o la tv sempre accese in sottofondo, raccontano lo scenario sociale delle Bahamas dove un pesante clima omofobico, sostenuto dalla cultura evangelica protestante, sta seminando odio e razzismo attraverso campagne sociali e petizioni da presentare al Parlamento, in opposizione alle leggi a favore dei diritti civili per le coppie gay.

E se Dio, da un lato, diventa  paravento dietro il quale predicatori armati di odio nascondono le proprie sane e umane debolezze, dall’altro lato Dio parla attraverso la voce del reverendo Ritchie che predica l’amore incondizionato di Dio per tutti, perché tutti, indiscriminatamente, sono figli di Dio.

Lo è Johnny il giovane pittore dichiaratamente gay in cerca di ispirazione, lo è Romeo un ragazzo di colore che nasconde la propria omosessualità alla famiglia e alla comunità, lo è Lena moglie di un pastore (segretamente gay) attivista nella crociata antiomosessuale e religiosamente conservatrice.
I 3 figli di di Dio lasciano Nassau per ritrovarsi nella piccola isola di Eleuthera dove le loro vite si sfioreranno e si scontreranno ciascuna con il proprio mondo interiore.

Children of God non è la storia d’amore di due ragazzi gay, ma è un racconto che parla di amore universale in un contesto profondamente omofobico, dove l’omofobia è il pretesto per il confronto con il diverso o con la nostra intimità che stride con l’immagine, spesso indotta, che abbiamo di noi stessi. Perché ci sono madri che preferiscono avere un figlio drogato piuttosto che gay, e uomini di chiesa, nascostamente gay, che richiamano tutti all’odio perché solo dando qualcosa da odiare si tiene la gente unita.

Un ritratto insolito di amore e solitudine, attraverso immagini ricche di drammaturgia che galleggiano nel mare che purifica l’anima dai pregiudizi e dagli ostacoli emotivi.

“Ma anche Mario è gay” … “Ma Mario è il mio parrucchiere, è diverso!”

Voglio vivere così

Nei miei tentativi spesso maldestri di coltivare il pensiero positivo, un ruolo fondamentale lo ricoprono le ingenti dosi di iperico che ingurgito quotidianamente con tanta acqua e tanta buona volontà. Effetto placebo o no, in fondo quello che conta sono i risultati, e qualcosa è cambiato.

Ciò che mi circonda è sempre uguale, la realtà è sempre quella e io ho la stessa faccia, stessa ciccia, stessi problemi, stesse difficoltà, stessi scompensi ormonali.

Ma, semplicemente, ho preso una decisione: entrare in empatia con la positività, con il pensiero benefico e costruttivo, con lo scopo di coltivare una prosperità intellettuale ed emotiva.
Il tutto da sola, al di fuori di qualsiasi setta e rigorosamente lontana da santoni, medium, evangelisti dell’automotivazione e manuali di sopravvivenza nella giungla umana. Ci sono già cascata da giovane ventenne quando, smettendo di mangiare carne, pensavo che avrei raggiunto la decima illuminazione (effetti collaterali da Profezia di Celestino). Ora sono grande e adoro le grigliate di agnello e salsiccia!

Perciò, stante il fatto che il risultato della mia vita attuale, nel bene e nel male, è il risultato delle mie azioni, condite dalla sorte, (spesso amica, spesso ostile) sono arrivata alla conclusione che il mondo non è brutto e cattivo e ciò che ritorna indietro è anche il risultato di ciò che io stessa do’ a questo mondo.

La mia vita non va esattamente come vorrei, come pensavo sarebbe andata a 34 anni, ma da un po’ di tempo riesco a vedere un po’ di bellezza ogni giorno e ho scoperto il sapore buono del salutare le persone, chiedere per favore e rispondere sempre con grazie, dire quello che penso (cercando di tenere in considerazione la sensibilità di chi mi sta davanti), fare tante figuracce ed essere anche un po’ credulona.  Spesso sono costretta a fingere, per sopravvivere, ma sempre per reazione e mai per azione.

Se raggiungerò un equilibrio non lo so e forse neanche mi importa, perché è una illusione che si scontra violentemente con gli eventi della vita. Ma non voglio più pensare che è tutta colpa mia o tutta colpa degli altri. La furbata sta nel non sostituire la realtà con un’ altra fittizia e artificiosa, né tantomeno nella ricerca di momenti di spiritualità e congiunzioni con il divino che io mai potrò raggiungere in questa vita.  Certo, rimane un modello di riferimento, ma non è una meta. Con i piedi fissi per terra accetto la realtà, insieme ai miei limiti intellettuali e fisici compreso un corpo un po’ ingombrante e sproporzionato rispetto al mondo (anche se in questo caso, lo confesso, ho adoperato il metodo “deep impact”: nudismo e cultura del corpo libero).

Alla fine cosa è cambiato?

Tutto e niente, proprio come quando mi sono sposata: stessa casa, stesso grande amore, stessa infinita felicità, ma dentro di me una consapevolezza in più, quella di aver avuto il privilegio di provare emozioni e sentimenti avvolgenti, quel privilegio che ti spiana la strada verso innumerevoli visioni della vita e ti stupisce suscitandoti un sorriso quando vedi un giovane coatto al semaforo, su un motorino coatto che canta una canzone d’amore coatta e non puoi fare a meno di cantare insieme a lui. Lui ti guarda, ti sorride, ma poi il semaforo si fa verde e ognuno va per la propria strada. Ma tu quel giorno hai cantato a squarciagola.

Take care!

I ricordi più belli sono spesso legati agli affetti e ai legami che abbiamo costruito con le persone.
La vocazione a condividere emozioni ed esperienze in maniera incondizionata è una virtù fortemente minata dalla cultura della paranoia e della sfiducia che porta inevitabilmente alla chiusura emotiva e all’attaccamento morboso e difensivo delle proprie certezze. In altre parole, la paura dell’altro ci mette di fronte al rischio di un’involuzione della dignità personale e del sacrosanto diritto alla completezza umana.

Prendersi cura di se stessi passa anche attraverso un semplice scambio di battute con una cameriera di un locale che ci porta un dolce striminzito rispetto alle nostre aspettative. E se alle nostre rimostranze acide e scortesi, lei reagisce naturalmente con uno sguardo risentito, vuol dire che quell’atteggiamento inopportuno, da parte nostra perché sgradevole, da parte sua perché non confacente al ruolo, ha creato una relazione puramente strumentale e arida, priva del piacere dell’umanità. Un passo indietro nel cammino spirituale ed etico di noi in quanto Menschen e del genere umano tutto in quanto ne siamo elementi attivi.

Ritrovare la fiducia nelle piccole relazioni, anche quelle di un giorno, di un attimo, è un piacere di cui abbiamo dimenticato (o forse mai conosciuto) il godimento. Avere cura delle persone con piccoli gesti, può aiutare a liberarsi da quell’immagine antisociale di noi stessi che ci rassicura e preserva le nostre certezze e la nostra identità spesso vittime delle esperienze della vita.

Le relazione umane sono dei piccoli mattoni che costruiscono il progresso civile in tutte le sue forme, politico, sociale, tecnologico, scientifico.
La compassione come inclinazione umana alla quotidianità è l’unico sentimento in grado di trascendere gli embarghi emotivi e di regalare la possibilità di cogliere la vita in tutti i suoi aspetti, nel bene e nel male.

“La zona è forse un sistema molto complesso di insidie…non so cosa succede qui in assenza dell’uomo, ma non appena arriva qualcuno tutto comincia a muoversi…la zona in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo… ma quello che succede, non dipende dalla zona, dipende da noi.” (Stalker di A. Tarkovskij, 1979)

Caravaggio alle Scuderie del Quirinale

Fino al 13 giugno le Scuderie del Quirinale celebrano i 400 anni dalla morte di Michelangelo Merisi ospitando la mostra “Caravaggio” che raccoglie circa una trentina di tele di produzione certa e autografa.

Durante la mia visita le sale hanno accolto troppi visitatori. Sicuramente prevedibile e comprensibile di domenica, ma sarebbe stato opportuno, a mio avviso, contenere l’afflusso veicolandolo secondo modalità e tempi adeguati.

Inoltre la sala buia (scelta finalizzata all’esaltazione dei contrasti cromatici) è stata illuminata da faretti spesso mal posizionati che obbligano lo spettatore a collocarsi in un solo specifico punto per poter godere appieno della bellezza del quadro nel suo gioco di ombre e luci.

L’esposizione, modellata su due piani, segue un percorso non cronologico ma di confronto tematico. Troviamo infatti il “Ragazzo con il canestro di frutta”, del periodo giovanile, associato al “Bacco degli Uffizi”, “Il suonatore di liuto” insieme ai “I musici” che regalano l’idea di amore come armonia, le due versioni de “La cena in Emmaus”, le tre tele del “San Giovanni Battista“.

Nell’osservazione del vero, alla ricerca del naturalismo, Caravaggio riesce a restituire immagini che si elevano oltre la mediocrità della realtà, regalando un’estetica della luce innovativa e complessa.
E così nel dipinto “Amor vincit omnia” l’Amore trionfa sulle arti e seduce attraverso la complicità di un sorriso provocante.

Ma Caravaggio dipinge anche i grandi temi biblici come “Giuditta e Oloferne”  rappresentata con crudezza di particolari, la “Cattura di Cristo nell’orto” in cui l’artista dipinge se stesso nell’atto di portare la luce che illumina la fede e la redenzione.

E poi i temi del sommo e della morte con “Amore dormiente” che non trionfa più, ma esanime, avvolto nel buio, sembra privo di vita e simboleggia il periodo buio in cui l’angoscia per la sentenza di condanna a morte porta Caravaggio a fuggire e a cercare riparo tra i Cavalieri di Malta. Tale ossessione la si ritrova in “Davide con la testa di Golia” , dove la testa del gigante ricorda le fattezze dell’artista, ma anche nello sguardo addolorato e malinconico del vincitore.

Nonostante la folla, la scarsa illuminazione e le audioguide prolisse e noiose, la mostra è un’esperienza dei sensi da non perdere, fino alla fine.
Abbandonando il buio della sala, infatti, ci si ritrova avvolti in un gioco di luci tutto naturale che filtra attraverso l’ampia vetrata delle Scuderie del Quirinale e ci regala una vista di Roma che abbraccia, con un unico sguardo, un panorama incantevole dal Vittoriano al Quirinale passando per S. Pietro.

E’ opportuno visitare la mostra al più presto perchè alcune opere sono in esposizione temporanea e verranno trasferite prima della fine dell’evento.

Caravaggio lo si può trovare anche fuori dalla mostra, visitando per esempio la Chiesa di San Luigi dei Francesi che contiene “la Vocazione di San Matteo” e “Il Martirio di San Matteo” e “San Matteo e l’Angelo“.

Nella Chiesa di Sant’Agostino, troviamo la “Madonna dei Pellegrini“,  Santa Maria del Popolo, invece offre “La Conversione di San Paolo” e la “Crocifissione di San Pietro“.

Equal Pay Day

Oggi le donne si sono vestite di rosso e hanno celebrato l’Equal pay day (giornata dell’eguale retribuzione) per rivendicare il diritto all’uguaglianza salariale. Il rosso simboleggia il colore dei conti delle donne. Una donna, per guadagnare, a parità di condizioni, quanto un collega uomo in un anno, deve lavorare fino al 15 aprile dell’anno successivo!
La Costituzione italiana garantisce la parità salariale, il gap infatti è dato dalla parte variabile, ossia straordinari, mobilità, premi produzione…
Le statistiche divergono sui dati specifici, ma tutte convergono nello stabilire che il divario salariale esiste e ha forti ripercussioni sulla struttura della nostra società. Le donne sono spesso limitate nelle loro carriere dalla gestione del ménage familiare a causa di strutture di sostegno scarse e/o di difficile accesso e di pregiudizi paralizzanti.

La Commissione Europea sta lavorando per intraprendere provvedimenti atti a ridurre tale disparità tra uomini e donne nei prossimi 5 anni (Risoluzione 5 marzo).

L’Equal Pay Day è stato organizzato dalla BPW (Business and Professionale Women) che si propone di valorizzare concretamente il potenziale professionale, di buisness  e leadership delle donne a tutti i livelli attraverso programmi di empowerment, sostegno, consulenza, networking e skill building.

Qui , qui qui alcuni web spot sulla precarietà e discriminazione di genere.

Qui invece un interessante video sugli stereotipi di genere.

Premio Afrodite 2010

Anche quest’anno l’Associazione Donne nell’Audiovisivo, ha festeggiato la professionalità femminile attraverso la cerimonia di assegnazione del Premio Afrodite. Il Premio nasce per celebrare le donne del mondo dello spettacolo che, con la loro arte hanno mostrato particolare attenzione alle tematiche femminili e hanno contribuito attivamente alla realizzazione di progetti di qualità.

L’evento è stato, tra gli altri, sponsorizzato dalla Lancia che per l’occasione ha presentato il nuovo modello Ypsilon Elle rigorosamente glamour come le star che ha accompagnato fino al pink carpet. Hanno sfilato tra gli innumerevoli flash dei fotografi, Margareth Madè, attrice rivelazione del film Baarìa (ad accompagnarla c’era il regista Giuseppe Tornatore), Mariagrazia Cucinotta, la bellissima Valeria Solarino con Isabella Ragonese, Monica Scattini, Giorgia Wurth, Barbara De Rossi, Micaela Ramazzotti, Nicole Grimaudo e tante altre celebrità più o meno conosciute.

La cerimonia è stata condotta dalla giornalista e presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, Laura Delli Colli e dal giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori, che hanno inaugurato la serata ricordando tutte le donne alle quali è negato il diritto di parola, come in Iran e in tutti quei paesi in cui la dittatura proibisce la diffusione del libero pensiero.

La prima donna a salire sul palco è stata Paola Comencini, scenografa, che ha giustamente rivendicato il diritto al riconoscimento dell’autorialità per i tecnici del cinema.
Hanno poi presenziato Emanuela Mascherini autrice del libro Memorie del cuscino e Giorgia Wurth che ha presentato il romanzo Tutta da rifare. Insieme a  Sarah Maestri (assente per tournée), che ha riscosso successo col romanzo autobiografico La bambina dai fiori di carta, è stata loro riconosciuta una menzione speciale per le proprie opere letterarie. Da questi romanzi probabilmente nasceranno nuove storie al femminile per il cinema italiano.

Migliori attrici Micaela Ramazzotti, che io ho tanto apprezzato nel film La prima cosa bella, Nicole Grimaudo per Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek e Barbara De Rossi che ha “compresso” tutta la sua simpatia ed esuberanza in un corpicino rinnovato, quale personaggio televisivo dell’anno.

La bellissima, ma un po’ algida, Margareth Madè ha ritirato il premio Lancia Ypsilon Elle direttamente dalle mani di Tornatore che ha ricordato a tutti i presenti la qualità dei film candidati ai David di Donatello quest’anno – tra i quali c’è proprio la sua pellicola Baarìa (!!) – a dimostrazione del fatto che il cinema italiano non è fagocitato dalla crisi come vogliono farci credere. Il regista ha invitato i giornalisti ad abolire la domanda sulla crisi, ma piuttosto ha invitato tutti a vedere il bicchiere mezzo pieno per incoraggiarci a trovare insieme delle soluzioni da proporre anche a chi ci governa.
Tornatore non appartiene certo alla schiera di autori che hanno difficoltà a trovare i finanziamenti, ma sicuramente accetto il suo invito a vedere le cose da un altro punto di vista perché sono stanca a anche io di sentir parlare di crisi di linguaggi e di valori.

Io ritengo che il momento di paralisi che sta vivendo il cinema, così come la tv, non sia dovuto a una mancanza di idee, ma alla gestione che di queste idee si fa e a un sistema produttivo scorretto ed elitario che, immobilizzato dal timore del rischio, porta avanti dinamiche corrotte e sfugge dal tentativo di valorizzare il nuovo che avanza.

Ma fortunatamente ci sono progetti audaci che riescono a ricavarsi uno spazio nelle sale dimostrando tutta la loro dignità artistica, come Viola di mare che ha vinto il premio Afrodite film dell’anno. Viola di mare racconta la vittoria di un amore tutto al femminile, e a ricevere gli applausi sul palco un trionfo di femminilità, dalla regista Donatella Maiorca, alla produttrice Mariagrazia Cucinotta e le due splendide e bravissime attrici, Valeria Solarino e Isabella Ragonese.

La serata, dal risvolto forse troppo mondano e patinato ha purtroppo lasciato poco spazio alle parole e all’approfondimento delle tematiche sottostanti a un premio così importante e necessario per la nostra cultura, ma è comunque un passo importante per la valorizzazione della voce delle donne.

Mi auguro che il prossimo Premio Afrodite acquisisca sempre più importanza e la giusta visibilità che merita, affinché l’ intelletto colto, ironico e raffinato delle donne trovi finalmente la sua rilevanza in un posto che diritto gli appartiene e possa esprimersi in tutta la sua potenza creativa senza perdersi in esasperanti rivendicazioni.

Thank to Candy per le foto

Piccole storie italiane al R.I.F.F.

I corti italiani sono quelli che dapprima attirano di più la mia attenzione nella programmazione di un festival. Spero sempre di trovare degli spunti interessanti e la dimostrazione che se c’è un’idea forte, essa può essere realizzata al suo meglio anche con pochi mezzi. Il tutto sta a costruirla bene questa idea e se ciò avviene nelle opere del mio paese, la cosa mi rende più felice.

Durante il R.I.F.F. finora ho visto 3 cortometraggi italiani.

Quello che più mi ha convinto e coinvolto è stato La vita Accanto di Giuseppe Pizzo.
Giuseppe Pizzo è poliziotto, scrittore e regista profondo conoscitore della realtà del suo paese, il territorio di Orata di Atella, dove ambienta una storia di degenerazione e assuefazione a una realtà criminosa e violenta. Con una macchina a mano irrequieta come i suoi personaggi, in meno di mezz’ora ci presenta tutti gli attori sociali presenti sul territorio: chi vive di piccola criminalità e lotta per ottenere il rispetto, chi si adegua passivamente e per amore del figlio tenta di sottomettersi alla legge del più forte, chi non ci sta e preferisce portare la sua onestà altrove e chi invece con coraggio riesce a dire di no. Angelo non ancora adolescente, con un padre appena arrestato, un fratello delinquente e un amico morto ammazzato, si ribella, ruba la pistola al fratello ma gli dice che gli vuole bene e in quel momento diventa immagine di speranza.

Qui sotto il trailer.

Mutande di ricambio di Andres Arce Maldonado e Luca Merloni, racconta di un uomo e dei suoi tentativi alquanto maldestri di conquistare le donne.
Il personaggio, divertente, ma estremamente goffo è ossessionato dall’idea di non essere banale e di risultare affascinante e seducente. Cosa in cui però, nonostante la diversificazione degli approcci, fallisce miseramente.
L’associazione con il testo della canzone “Cara ti amo” di Elio e le storie tese, per me, è stato immediato e ha contribuito a strapparmi più di un sorriso. Il film scorre piacevolmente, intrattiene nonostante la poca originalità e quella scena in più in cui il protagonista lava i piatti in versione drag queen. Scena che non aggiunge nulla, anzi spezza il ritmo e lo fa scadere per pochi attimi nella banalità.

Altro cortometraggio che però non mi ha assolutamente appassionato è Rosso di Sara di Alessandro Marinelli. Un tentativo fallito di costruire un giallo classico che presenta una struttura lacunosa e priva di suspense, per cui l’attesa dello svolgimento della trama non crea alcuna tensione emotiva e porta a un finale estremamente prevedibile.

“La Vergüenza” al R.I.F.F.

Se ti perdi nel bosco non muori né di fame né di sete, né perché ti sbranano i lupi, muori per la vergogna di esserti perso.
E la vergogna ti paralizza al punto da riuscire a chiedere aiuto solo quando ormai è troppo tardi.

Ed è per evitare tale vergogna che Pepe decide di restituire Manu, un bambino problematico di 8 anni, che ha preso in affido insieme alla moglie Lucia. Ma allo stesso tempo quel sentimento di vergogna attanaglia la coscienza della madre naturale di Manu che pensa di potersi riscattare dai suoi errori riprendendosi suo figlio e strappandolo ai genitori affidatari.
Pepe e Lucia, ignari di quanto la donna stia tramando, di fronte alla sconfitta della loro genitorialità, iniziano un confronto reciproco e con se stessi che li scopre entrambi imprigionati dalla vergogna per i segreti e i traumi del passato.
La fiducia è ormai minata, ma sarà anche il punto di partenza verso il cambiamento interiore e  il distacco dai propri drammi emotivi ed esistenziali.
La Vergüenza di David Panel è un film misurato e garbato che narra un dramma con estrema delicatezza e raffinatezza di dialoghi e immagini. E’ il semplice racconto di un blocco emotivo sapientemente metaforizzato dalla sospensione dell’erogazione dell’acqua corrente. Una sorta di bolla emotiva di tensione scoppia e si risolve nel corso di una giornata fino a sfociare in un finale di speranza un po’ didascalico, ma che tuttavia è in linea con la naturale evoluzione della storia.