Sono passati 3 o forse 4 giorni dal terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo. Non riesco più percepire lo scorrere del tempo, tutto mi sembra sospeso e incerto più che mai. Ondeggio tra la paura che il letto possa scuotermi fino a farmi precipitare, e il senso di colpa per aver provato quella paura che è reale solo negli occhi di chi ha visto crollare le proprie case e sotterrare per sempre figli, genitori, fratelli, amici.
Pietrificata dalla paura, ora so cosa vuol dire. L’ho imparato quella notte. Devo prendere qualcosa, ma cosa, devo vestirmi, ma come, devo telefonare, ma a chi, e mentre questi pensieri lentamente si alternavano nella mente, con espressione ebete, osservavo Marco che accendeva il pc. Perchè? Perchè era l’unico modo di sapere cosa stesse realmente accadendo. Twitter, Facebook, Friendfeed ci hanno costantemente restituito aggiornamenti, paure, sensazioni, ma io continuavo a fissare il lampadario che, immobile, sembrava in attesa del segnale dalla madre terra per riprendere la sua danza. Ormai la terra non avrebbe più tremato per quella notte, ma la gente continuava inesorabilmente a morire. Sopraffatta dall’ impotenza mi sono seduta sul divano, nel salone, vicino alla porta di ingresso, ho visto un film, ho seguito la trama con la stessa attività cerebrale di un mulo che segue una carota. I recettori annullati dagli eventi.
E adesso più che mai, disgustata dalle nefandezza umana degli sciacalli, afflitta dalle immagini di distruzione, nutro profonda compassione per quella terra vicina, forte e gentile.
Ho difficoltà a riordinare i miei pensieri in forma leggibile.
Faccio tutto come prima, leggo, riesco a dormire e anche tanto, troppo, mangio, studio, vado in palestra, faccio la spesa e cucino sempre meglio. Tra un po’ andrò al cinema, caverna oscura da cui è difficile fuggire, rivedrò un vecchi0 amico.
Nulla nella mia vita è cambiato. Eppure mi sento monca, qualcosa ha spento i miei recettori, come un robot ben programmato, mi aggiro in questa vita alla ricerca dell’interruttore.
Ma non lo ritroverò finchè quella valigia, quella delle emergenze, rimarrà vicino alla porta di casa mia.