Per me Terence Hill rimarrà sempre relegato negli anni ’70 nelle mitiche e luride vesti di Trinità! Proprio non ce la faccio a immaginarlo conciato da bagarozzo che investiga tra le sante vie di Gubbio. Eppure ieri, al Fiction Fest, la sua presenza ha segnato il picco massimo di esultanza del pubblico, accorso ad acclamare il buon vecchio Don Matteo. Questo è stato l’unico momento che, ahimè, (e lo dico con sincero dispiacere) ho dedicato alla fiction italiana.
Lontana dal coro osannate, ho lasciato fare al mio intuito e ho varcato la porta di una dimensione altra, quella di The Wrong Door. Sketch bizzarri animati da freaks di ogni tipo che vivono situazioni ai limiti e che ricostruiscono la realtà, riuscendo a restituire plausibilità anche all’assurdo. Perciò può risultare “normale” fidanzarsi con un dinosauro, vedere robot giganti ubriachi alla ricerca delle chiavi perdute, assistere alla progettazione dell’uomo più insopportabile del mondo, partecipare ai provini da supereroe (non meno strampalati dei nostri “reali” talent show) e infine comprare armadi dal nome evocativo (Narnja) che introducono in un universo parallelo opprimente e snervante da cui è molto molto difficile uscire, un po’ come all’Ikea. Animazioni 3D e attori in carne e ossa si alternano in uno scenario dal sapore comico e burlesco in stile tipicamente british che non disdegna però il colorito toilet humor.
Ma l’apoteosi dell’umorismo perverso si è incarnato nella combriccola dei matti della dark comedy Psychoville. Un’ unica minaccia incombe sul loro destino, una lettera anonima che recita l’angosciante e misteriosa intimidazione: I Know What You Did. Ed eccoli agitarsi inquieti: un nano telecinetico, un’infermiera ossessionata dall’idea di crescere un bambolotto come fosse un vero bambino, madre e figlio serial killer che metterebbero paura persino a Norman Bates, un collezionista di pupazzi che si è venduto gli occhi per la sua ossessione e infine il clown Mr. Jelly, sinistro animatore di feste per bambini. E’ decisamente lui il mio personaggio preferito, rappresentazione catartica dell’evoluzione della mia anima nera se avessi continuato la carriera di animatrice.
E a proposito di combriccola di matti, non c’è più matto di chi sa sognare. E il sogno più grande è il mondo perfetto. Partendo da questa ricerca, Massimiliano Davoli ha girato il bellissimo documentario Through Smoke and Mirage che racconta l’esperienza di Black Rock City.
Black Rock city è una città che vive solo pochi giorni nel deserto del Nevada e in cui si svolge il festival The Burning Man. Chiunque ha l’opportunità di esprimere se stesso in totale libertà, di sperimentare sogni, idee, fantasie sul mondo e sull’arte in tutte le sue forme. In questa comunità temporanea vige esclusivamente la regola della partcipazione collettiva e del rispetto, duramente messe alla prova dalle spesso ostili condizioni ambientali, dal caldo estremo alle tempeste di sabbia. I membri della comunità, vivono e si relazionano seguendo i principi dell’economia del dono. Per cui, abolito il denaro, ognuno dona un po’ di sé all’esperimento di comunità. E per celebrare la liberzione dalla schiavitù dei condizionamenti sociali, il sabato sera si dà fuoco al fantoccio di legno, the Burning Man. Ma questo grosso fumo rappresenta solo un miraggio o qualcosa sta cambiando davvero?
Questo interrogativo chiude la mia prima giornata al Roma Fiction Fest 2009.