Al di là dalle idee, al di là da ciò che è giusto e ingiusto, c’è un luogo.
Noi ci incontreremo là. (Mawlānā Jalāl al-Dīn Rūmī)
Al di là dalle idee, al di là da ciò che è giusto e ingiusto, c’è un luogo.
Noi ci incontreremo là. (Mawlānā Jalāl al-Dīn Rūmī)
Dopo due giorni di pedalate, i nostri muscoli decidono di inscenare una forma di protesta liberando crampi e fitte lancinanti.
Ma nulla può ormai scalfire l’ebbrezza del viaggio a cavallo delle nostre fedeli biciclette!
Come tutte le mattine la sveglia suona alle 7. Colazione, doccia e via in sella in direzione di Gent.
La LF5 (Flanders Cycling Route) è la pista ciclabile che dobbiamo continuare a seguire. Le cartine sono abbastanza chiare per una visione d’insieme del viaggio, ma per i particolari, gli incroci, i cambi di direzione, le salite e le discese, ci dobbiamo affidare alle indicazioni dettagliate che ci ha fornito il tour operator, le quali, però, sono un po’ troppo approssimative e forse non aggiornate, dato che spesso ci ritroviamo davanti a strade inesistenti. Fermarsi per chiedere informazioni ci fa perdere diverso tempo.
Il paesaggio che ci circonda è decisamente bucolico e ricco di corsi d’acqua, raramente si scorgono chiesette e monasteri, qualche cimitero e vecchie linee ferroviarie. Il percorso prestabilito non prevede, purtroppo, il passaggio tra i pittoreschi villaggi che riusciamo a scorgere solo in lontananza.
Lungo un tragitto, tutto sommato monotono, tranquillità e silenzio ci accompagnano, fino a perseguitarci!!!
Ma le lepri che scorrazzano da una parte all’altra, le capre che ruminano in pace, le mucche e i tanti animali che incontriamo, ci sorprendono colmando l’atmosfera giocosa che l’umorismo di Marco aveva già ampiamente impreziosito.
Forse perchè abituati alla Donauradweg, particolarmente attrezzata e confortevole, la Flanders Cycling Route non riesce a sostenerne il paragone per i servizi, per la chiarezza delle informazioni (soprattutto per quanto riguarda le intersezioni dei percorsi, i knooppunten) ma più di ogni altra cosa, per bellezza e varietà dei panorami.
Lungo il Danubio una delicata brezzolina rinfrescava gli animi. Nelle Fiandre, invece, il vento è il nostro nemico numero uno!
Ci si oppone con tutto il suo impeto, facendoci vivere una pedalata in pianura e in prima come un’impresa titanica!!!
Da quel momento in poi il soffio possente di Eolo non ci ha più abbandonato!
Arrivati a Gent scopriamo una città imbacuccata da un cantiere a cielo aperto: strade interrotte, grossi macchinari e impalcature ne nascondono le bellezze.
La Cattedrale di San Bavone (Sint-Baafskathedraal) è chiusa e non possiamo ammirare l’Adorazione dell’Agnello mistico dei fratelli Van Eyck.
Non ci rimane che passeggiare lungo il canale principale di Gent e ammirare i palazzi gotici e rinascimentali e le case con pignone.
Brugge, invece ce la godiamo per quasi due giornate.
Ammiriamo i giochi di luci e colori che il cielo incerto regala ai palazzi fiamminghi, riflessi nei pittoreschi canali che decorano i pavé tanto ostili alle due ruote.
Il Markt, circondato dalle maestose Case delle Corporazioni, da secoli si abbandona alle note del grande carillon di 47 campane dell’antico Belfort.
Romantica ma intrigante allo stesso tempo, Brugge offre anche diversi ristoranti caratteristici dove ho nuovamente assaggiato le moules frites, ma per il prezzo a cui le vendono (circa 2o euro per una porzione molto abbondante) preferisco spendere la metà per una più gustosa e italiana impepata di cozze!
Il piacere di mangiarle pizzicandole con lo stesso guscio a mo’ di tenaglia, è, però, divertente e anche sofisticato e, tutto sommato, l’abbinamento cozze, birra e patatine fritte (orgoglio nazionale per la “speciale” tecnica della doppia cottura) riesce a comporre un gusto particolare e sfizioso.
[Ristorante consigliatissimo a Brugge: den Amand, Sint-Amandstraat, 4]
Purtroppo nè a Brugge, nè a Gent abbiamo potuto visitare i beghinaggi, i musei o i famosi arazzi fiamminghi.
Le pedalate quotidiane di circa 60 km per raggiungere le grandi città riempiono le intere giornate! Ma il tempo per assaggiare le famose praline e le orangette riusciamo a ricavarlo!
E’ il nostro ultimo giorno da ciclisti, ma la pioggia incessante e il vento forte ci persuadono a lasciare le due ruote e a prendere il treno per raggiungere la suggestiva costa del Mare del Nord!
De Haan, cittadina incantevole dall’atmosfera belle époque, è una stazione balneare a misura di bambino. Tra una giostra e un grosso parco giochi risuonano le voci dei bimbi che si divertono a rincorrersi fino al lungomare.
Ristoranti, chioschi di gaufres, negozi di costumi da bagno, sdraio e ombrelloni (in controtendenza con i nuvoloni nel cielo e una temperatura attorno ai 15 gradi!) animano le passeggiate dei residenti.
Qualcuno ha anche il coraggio di tuffarsi nel mare grigio, i bambini, con i piedi nell’acqua gelida, raccolgono la sabbia per costruire castelli di fronte a insoliti bagnini protetti da giacche a vento. Ritorniamo indietro verso Oostende. A Oostende scarseggiano le bow windows e palazzi con frontone a gradoni, ma le vie commerciali sono frequentatissime e si respira una certa aria di mondanità.
La lunga spiaggia puntellata di cabine deserte non evoca lo stesso fascino di De Haan a causa della presenza di palazzoni costruiti quasi in riva al mare.
Ma volgendo lo sguardo in alto, mi lascio incantare dallo spettacolo degli innumerevoli aquiloni che si rincorrono tra le nuvole.
Non sento più freddo e il vento, che tanto ho odiato durante le pedalate, diventa improvvisamente complice di questo romantico quadro in cui io e Marco siamo due piccoli puntini felici.
L’irrefrenabile voglia di una vacanza in mezzo alla natura ci ha portato a sfidare i nostri limiti con una lunga pedalata attraverso le Fiandre fino al Mare del Nord.
Il mio animo sportivo però si declina esclusivamente su argomentazioni teoriche e ad esso non corrisponde alcun fisico nerboruto né tantomento allenato!
Ma l’entusiasmo e i lieti ricordi della biciclettata lungo il Danubio di 3 anni fa hanno sopraffatto le ultime diffidenze.
L’arrivo a Bruxelles, nell’accogliente suite dell’albergo, non ha fatto altro che fomentare l’euforia per la vacanza che sarebbe cominciata l’indomani mattina col noleggio delle due biciclette che ci avrebbero accompagnato attraverso 5 tappe lungo i suggestivi e pianeggianti percorsi delle Fiandre.
Bruxelles mi ha lasciato alquanto indifferente, nonostante sia perfettamente disegnata dalle linee dell’Art Nouveau e riesca a distinguersi con l’ elegante alterigia delle sue imponenti chiese gotiche disseminate tra i palazzi in stile fiammingo.
Ciò che l’ha resa godibile è stata la caotica festa lungo le strade del centro storico che hanno visto il famoso Manneken-Pis “vestito a festa” con i colori della birra locale, la Delirium Tremens.
Pedalare da Bruxelles verso Leuven, antica città universitaria belga, è stato frustrante,
mortificante e distruttivo al punto che i miei nervi sono saltati,
abbandonandomi a un delirio isterico, in uno scenario naturale così ostile, che mi sarei seduta a piangere per ore in attesa di un principe azzurro su quattro ruote motorizzate.
Ma la calma e la dolcezza del mio principe in bicicletta hanno rischiarato il cielo plumbeo che incombeva sul nostro cammino. E così, lentamente, siamo arrivati alla stazione di Leuven.
Dopo aver mandato le peggiori maledizioni al tour operator che non ci aveva assolutamente allertato della difficoltà del percorso del primo giorno, abbiamo preso il treno per completare il restante percorso fino a Mechelen .
Mechelen, la città delle 197 campane, è vivace e allegra e regala alcuni scorci colorati e pittoreschi. Ma anche tanta musica. Eravamo lì proprio nei giorni del Maanrock: due grossi palchi allestiti nel centro storico, artisti più o meno conosciuti e giovani talenti brufolosi. E litri e litri di birra che mi hanno fatto dimenticare l’incazzatura della mattina.
Il secondo giorno solo 36 km (rispetto ai 69 previsti del giorno prima) ci
separano da Bornem (4 case, il nostro albergo e nulla più).
Siamo arrivati a destinazione a ora di pranzo, sfrecciando su un percorso finalmente pianeggiante e, come suggerito dalla guida, abbiamo preso il treno verso Antwerpen (Anversa) la città di Rubens e la seconda più grande del Belgio.
Capoluogo studentesco, famoso per la sua industria del diamante, ha un vivacissimo centro ricco di vie commerciali dai negozi più diversi. Ma ha anche un cuore storico che batte nel Grote Mark dove campeggia la statua di Brabo che tagliò la mano al gigante Antigono.
Ma ciò che le regala il suo fascino è il porto sul fiume Schelda coi suoi vecchi cantieri e il Castello Het Steen dalla cui terrazza, al tramonto si possono ammirare i colori assopiti del sole che, stanco, a fine giornata, si ritira tra le acque del fiume, lasciando dietro di sè pennellate di luce che fendono il cielo scuro del Belgio di fine Agosto.
to be continued…
CRAIC è una parola di origine gaelica che non ha un corrispettivo in inglese perchè è un modo di essere tipicamente irlandese. Può essere tradotto con having a good time or a laugh.
A good craic is always social, perchè il craic si sprigiona solo in compagnia, tra chiacchere, scherzi e pinte di birra.
Ma c’è solo un modo per scoprire l’essenza del Craic: come over to Ireland and have some craic yourself!
Sono passati 10 anni dalla prima volta che incontrai Dublino.
Allora era estate e il verde caldo brillava tra le strade della città e tra i vialetti di St Stephen’s Green. In questi giorni, invece, ci ha accompagnato un freddo mansueto e il sole ci ha scortato impedendo alla pioggia di importunare i 4 giorni di vacanza con le mie amichette del cuore.
O’ Connel Street, Dawson Street, Grafton Street, passerelle festose dello shopping natalizio, scintillavano tra luminarie, colori, abbondanze e sorrisi della gente. Perchè, sarà forse un luogo comune sugli irlandesi o forse è proprio quel craic che ribolle nel sangue, ma io di musi lunghi qui ne ho visti ben pochi!
Con questo non voglio certo affermare che tutti gli Irlandesi siano persone allegre e felici e che vivano la propria vita in uno stato di beata inconsapevolezza, ma camminando per la città si percepisce una generale sensazione di pacato buonumore diurno.
Già, perchè poi la notte avviene la trasformazione che spesse volte prende anche forme eccessive di ebbrezza distruttiva, altre volte invece rimane un’estrema convivialità e socievolezza che sbevazza allegramente danzando, dispensando baci e abbracci in un tripudio festoso collettivo.
La gente di Dublino si riversa nei pub già dal tardo pomeriggio, gli uomini ancora in giacca e cravatta, i ragazzi in maniche corte sfidano il freddo, le giovane fanciulle abbandonano le divise da collegiali per arrampicarsi su tacchi vertiginosi esibendo lunghe e spesso possenti cosce, le più ardite anche prive di collant!!!
Siamo a Temple Bar tra Dame Street e il fiume Liffey. Da un vicolo si scorge lo spettacolo di luci e ombre delle tre lampade che illuminano l’ Ha’ Penny Bridge, mentre dai pub fuoriescono le intramontabili note dei classici da Knockin’ on Heaven’s Door a No Woman No Cry passando per Wild Rover…
10 anni fa parlavamo con chiunque e tutti erano interessati a sentire i nostri racconti e a bere con noi. Si parlava dell’Italia, del giro che avremmo fatto per l’Irlanda, di cosa studiavamo e di ciò che ci piaceva fare e ascoltavamo consigli e suggerimenti, si beveva insieme, ci offrivano molte birre…del resto, eravamo due belle fanciulle…
Oggi non è stato così.
Abbiamo incontrato tanta gente, parlato con pochi, se non per chiedere informazioni alle quali ci hanno risposto sempre con gentilezza e disponibilità, ma poche chiacchiere e nessuna convivialità come i vecchi tempi. Cinguettavo qua e là da un ramo all’altro, nel tentativo si sfoggiare (o meglio di rispolverare) il mio inglese, memore dei tempi che furono, anche per la mia spasmodica esigenza di parlare con la gente. Il risultato è stato molto modesto rispetto alle aspettative.
Qualcosa è cambiato. A questo punto potrebbero aprirsi molte riflessioni di natura sociale sull’argomento, ma preferisco pensare che forse è l’inverno che infreddolisce le relazioni umane.
Perciò mi sono consolata con la cultura visitando la bellissima e inquietante mostra WHAT IF presso la Science Gallery.
Ispirati dai grandi interrogativi sull’esistenza umana, designer e artisti di tutto il mondo hanno dato vita a provocatorie forme d’arte, spesso ai confini del gusto e dell’etica, rimettendo in discussione, nel bene e nel male, valori quali la genuinità, la spontaneità e la naturalezza, delle volte in nome del progresso, altre volte per puro compiacimento estetico/intellettuale. “Cosa succederebbe se i nostri pensieri fossero di pubblico domino o se potessimo usare l’olfatto per scegliere il partner perfetto o se si potessero coltivare i farmaci sul nostro stesso corpo o ancora se ci fossero delle macchine in grado di leggere le nostre emozioni e se la carne fosse prodotta in laboratorio?” WHAT IF è una visione del mondo, è il piacere di immaginare le possibili e infinite direzioni in cui un’idea, un pensiero, una storia può andare.
E il nostro viaggio è andato verso Clontarf, quartiere a nord di Dublino che ha visto nascere Bram Stocker. La passeggiata lungo il Bull Wall ci ha regalato uno scenario meditativo e amabilmente malinconico soprattutto perché incorniciato da un cielo paffuto di nuvole bianche che scoprivano, di tanto in tanto, corposi e accecanti raggi di sole che scaldavano il cammino. Sull’immensa distesa della spiaggia di Bull Island i bambini manovravano grossi aquiloni che volteggiavano in aria insieme ai gabbiani. Sullo sfondo si intravedeva l’intensa attività del porto di Dublino.
“Oh my Cod!” recitava un cartellone pubblicitario su una fermata del bus, è ora di pranzo! Fish and chips…tanto per cambiare!
La cucina non è certo uno dei punti forti della cultura irlandese, anche se ho apprezzato molto l’Irish Stew, soprattutto quello assaggiato ad Avoca da Fitzgerald’s locale ben noto ai telespettatori irlandesi perchè location della serie tv Ballykissangel, storia di un giovane prete cattolico di Manchester che viene trasferito in una piccola comunità irlandese.
Avoca si trova nella contea di Wicklow e ci si arriva comodamente tramite un day tour in bus che ci ha condotto verso la valle dei due laghi, Glendalough, attraverso paesaggi boschivi dai profili scoscesi, sentieri che si inerpicano lungo anfratti mistici e scenari dai forti contrasti cromatici che solo la luce del nord riesce a restituire.
Questo paesaggio ascetico ispirò l’anima anelante di St. Kevin a porre la prima pietra del suo centro monastico e avrebbe ispirato anche noi verso profonde riflessioni sui massimi sistemi se l’eccessivo e scoppiettante craic dell’autista non ci avesse stonato per tutto il viaggio con le canzoncine natalizie e il suo umorismo spicciolo da animatore turistico.
Voglio ritornarci ancora in Irlanda e forse mai capirò da dove nasce questa misteriosa entità che scorre nel sangue degli Irlandesi e che continua a renderli un popolo allegro, esuberante, brillante e vitale. Riscoprirlo ha reso questa vacanza bellissima e ancor di più perchè ero con persone speciali insieme alle quali finally I had some craic myself!
P.S. Abbiamo dormito nel Charles Stewart B&B. Ve lo consiglio, economico, pulito e centralissimo.
E per una pausa caffè che assomigli a un espresso italiano, fate una sosta da Butlers dove vi aspetta un tripudio di cioccolata di ogni sorta.