A volte capita che i pensieri nascano fuori di te e ti seguano fino a bussare insistentemente alla tua sensibilità. E poi arriva il momento in cui li accogli, li mescoli, li fai amare e riesci a donare la vita ad ulteriori pensieri.
Dopo aver ampiamente (anche troppo) parlato delle alterazioni del Sè nel post precedente, mi ritrovo per caso a vedere il film di Giulio Manfredonia Si può fare e di seguire, sempre per caso, su Unomattina (e io non lo guardo mai!) un’intervista allo psichiatra Luigi Attanasio, sostenitore di quella psichiatria democratica che rese possibile 30 anni fa la Legge Basaglia, e infine lo scrittore Ugo Riccarelli, che, sempre per caso, ho conosciuto pochi giorni fa, il quale presentava il suo ultimo libro Comallamore, che narra le vicende del piccolo Beniamino che da bambino osserva i matti e che diventa uomo grazie alle loro storie.
Purtroppo poco spazio è stato lasciato alle parole di Riccarelli, che con il suo approccio delicato e poetico, tentava di esprimere il proprio pensiero sulla relatività dell’idea di follia. E proprio nel momento in cui tentava di dare una spiegazione a quella bella immagine di bambino che ascolta il rumore del mare in copertina, l’incompetente Eleonora Daniele lo interrompe per deviare la conversazione sulla necessità di tutelare la società da questi pericolosi criminali che non hanno alcun diritto di essere ascoltati e supportati.
Il pretesto dell’intervista è stato il caso di cronaca che vide l’aggressione di una coppia di anziani alla stazione di Palermo per mano di uno psicolabile.
Non voglio dilungarmi vomitando giudizi su tale episodio, nè tantomeno ho le competenze per proporre soluzioni per la società sulla gestione del disagio mentale. Ma una cosa mi ha colpito nelle parole del dott. Attanasio ed è il punto di partenza di quelle nuove teorie psichiatriche che imposero la chiusura dei manicomi (Legge 180), ossia la convinzione, di spostare il fulcro dell’analisi dalla malattia organica (intesa come problema da annienatre escludendo il malato dal contesto sociale) al paziente e all’origine sociale del disturbo. In altre parole ho voluto leggerlo in linea con il principale assioma dell’antipsichiatria che vede nella psichiatria uno strumento di controllo sociale che ha la sua massima realizzazione nei manicomi e nella neutralizzazione dei pazienti attraverso cure farmacologiche a dosi elevatissime e terapie opinabili quali l’elettroshock.
Purtroppo la realtà attuale racconta di famiglie lasciate sole e di istituzioni che non hanno i mezzi sufficienti per dare un supporto a questo disagio. E chissà quali altri interessi economici e politici impediscono la realizzazionedi una rete di servizi esterni che possano assistere le persone affette da disturbi mentali che vivono in una società sempre più individualista, indigente in cui la lotta per la sopravvivenza può diventare una strada in discesa verso la follia.
Diceva Basaglia: la conquista della libertà del malato deve coincidere con la conquista della libertà dell’intera comunità…In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione…una società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla.
Sono passati più di 30 anni da queste parole e molte cose sono cambiate e tante altre cambieranno.
Ciò che più colpisce la mia sensibilità è l’universalità di cui si nutrono queste parole. Oggi non è “di moda” parlare di matti e il diverso è l’immigrato e chi è portatore di una cultura differente. Il diverso fatica a integrarsi a causa di un fraintendimento di base per cui ciascuno fatica ad aprirsi all’altro nascondendosi dietro le prorpie certezze culturali.
Finchè non ci si porrà in una condizione di rispetto e umiltà reciproca si impedirà ai differenti idiomi di confluire nell’unico linguaggio possibile che appartiene agli esseri umani tutti e i cui fondamenti risuonano nelle parole di accoglienza, ascolto, compassione e reciprocità.