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Caravaggio alle Scuderie del Quirinale

Fino al 13 giugno le Scuderie del Quirinale celebrano i 400 anni dalla morte di Michelangelo Merisi ospitando la mostra “Caravaggio” che raccoglie circa una trentina di tele di produzione certa e autografa.

Durante la mia visita le sale hanno accolto troppi visitatori. Sicuramente prevedibile e comprensibile di domenica, ma sarebbe stato opportuno, a mio avviso, contenere l’afflusso veicolandolo secondo modalità e tempi adeguati.

Inoltre la sala buia (scelta finalizzata all’esaltazione dei contrasti cromatici) è stata illuminata da faretti spesso mal posizionati che obbligano lo spettatore a collocarsi in un solo specifico punto per poter godere appieno della bellezza del quadro nel suo gioco di ombre e luci.

L’esposizione, modellata su due piani, segue un percorso non cronologico ma di confronto tematico. Troviamo infatti il “Ragazzo con il canestro di frutta”, del periodo giovanile, associato al “Bacco degli Uffizi”, “Il suonatore di liuto” insieme ai “I musici” che regalano l’idea di amore come armonia, le due versioni de “La cena in Emmaus”, le tre tele del “San Giovanni Battista“.

Nell’osservazione del vero, alla ricerca del naturalismo, Caravaggio riesce a restituire immagini che si elevano oltre la mediocrità della realtà, regalando un’estetica della luce innovativa e complessa.
E così nel dipinto “Amor vincit omnia” l’Amore trionfa sulle arti e seduce attraverso la complicità di un sorriso provocante.

Ma Caravaggio dipinge anche i grandi temi biblici come “Giuditta e Oloferne”  rappresentata con crudezza di particolari, la “Cattura di Cristo nell’orto” in cui l’artista dipinge se stesso nell’atto di portare la luce che illumina la fede e la redenzione.

E poi i temi del sommo e della morte con “Amore dormiente” che non trionfa più, ma esanime, avvolto nel buio, sembra privo di vita e simboleggia il periodo buio in cui l’angoscia per la sentenza di condanna a morte porta Caravaggio a fuggire e a cercare riparo tra i Cavalieri di Malta. Tale ossessione la si ritrova in “Davide con la testa di Golia” , dove la testa del gigante ricorda le fattezze dell’artista, ma anche nello sguardo addolorato e malinconico del vincitore.

Nonostante la folla, la scarsa illuminazione e le audioguide prolisse e noiose, la mostra è un’esperienza dei sensi da non perdere, fino alla fine.
Abbandonando il buio della sala, infatti, ci si ritrova avvolti in un gioco di luci tutto naturale che filtra attraverso l’ampia vetrata delle Scuderie del Quirinale e ci regala una vista di Roma che abbraccia, con un unico sguardo, un panorama incantevole dal Vittoriano al Quirinale passando per S. Pietro.

E’ opportuno visitare la mostra al più presto perchè alcune opere sono in esposizione temporanea e verranno trasferite prima della fine dell’evento.

Caravaggio lo si può trovare anche fuori dalla mostra, visitando per esempio la Chiesa di San Luigi dei Francesi che contiene “la Vocazione di San Matteo” e “Il Martirio di San Matteo” e “San Matteo e l’Angelo“.

Nella Chiesa di Sant’Agostino, troviamo la “Madonna dei Pellegrini“,  Santa Maria del Popolo, invece offre “La Conversione di San Paolo” e la “Crocifissione di San Pietro“.

Premio Afrodite 2010

Anche quest’anno l’Associazione Donne nell’Audiovisivo, ha festeggiato la professionalità femminile attraverso la cerimonia di assegnazione del Premio Afrodite. Il Premio nasce per celebrare le donne del mondo dello spettacolo che, con la loro arte hanno mostrato particolare attenzione alle tematiche femminili e hanno contribuito attivamente alla realizzazione di progetti di qualità.

L’evento è stato, tra gli altri, sponsorizzato dalla Lancia che per l’occasione ha presentato il nuovo modello Ypsilon Elle rigorosamente glamour come le star che ha accompagnato fino al pink carpet. Hanno sfilato tra gli innumerevoli flash dei fotografi, Margareth Madè, attrice rivelazione del film Baarìa (ad accompagnarla c’era il regista Giuseppe Tornatore), Mariagrazia Cucinotta, la bellissima Valeria Solarino con Isabella Ragonese, Monica Scattini, Giorgia Wurth, Barbara De Rossi, Micaela Ramazzotti, Nicole Grimaudo e tante altre celebrità più o meno conosciute.

La cerimonia è stata condotta dalla giornalista e presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, Laura Delli Colli e dal giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori, che hanno inaugurato la serata ricordando tutte le donne alle quali è negato il diritto di parola, come in Iran e in tutti quei paesi in cui la dittatura proibisce la diffusione del libero pensiero.

La prima donna a salire sul palco è stata Paola Comencini, scenografa, che ha giustamente rivendicato il diritto al riconoscimento dell’autorialità per i tecnici del cinema.
Hanno poi presenziato Emanuela Mascherini autrice del libro Memorie del cuscino e Giorgia Wurth che ha presentato il romanzo Tutta da rifare. Insieme a  Sarah Maestri (assente per tournée), che ha riscosso successo col romanzo autobiografico La bambina dai fiori di carta, è stata loro riconosciuta una menzione speciale per le proprie opere letterarie. Da questi romanzi probabilmente nasceranno nuove storie al femminile per il cinema italiano.

Migliori attrici Micaela Ramazzotti, che io ho tanto apprezzato nel film La prima cosa bella, Nicole Grimaudo per Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek e Barbara De Rossi che ha “compresso” tutta la sua simpatia ed esuberanza in un corpicino rinnovato, quale personaggio televisivo dell’anno.

La bellissima, ma un po’ algida, Margareth Madè ha ritirato il premio Lancia Ypsilon Elle direttamente dalle mani di Tornatore che ha ricordato a tutti i presenti la qualità dei film candidati ai David di Donatello quest’anno – tra i quali c’è proprio la sua pellicola Baarìa (!!) – a dimostrazione del fatto che il cinema italiano non è fagocitato dalla crisi come vogliono farci credere. Il regista ha invitato i giornalisti ad abolire la domanda sulla crisi, ma piuttosto ha invitato tutti a vedere il bicchiere mezzo pieno per incoraggiarci a trovare insieme delle soluzioni da proporre anche a chi ci governa.
Tornatore non appartiene certo alla schiera di autori che hanno difficoltà a trovare i finanziamenti, ma sicuramente accetto il suo invito a vedere le cose da un altro punto di vista perché sono stanca a anche io di sentir parlare di crisi di linguaggi e di valori.

Io ritengo che il momento di paralisi che sta vivendo il cinema, così come la tv, non sia dovuto a una mancanza di idee, ma alla gestione che di queste idee si fa e a un sistema produttivo scorretto ed elitario che, immobilizzato dal timore del rischio, porta avanti dinamiche corrotte e sfugge dal tentativo di valorizzare il nuovo che avanza.

Ma fortunatamente ci sono progetti audaci che riescono a ricavarsi uno spazio nelle sale dimostrando tutta la loro dignità artistica, come Viola di mare che ha vinto il premio Afrodite film dell’anno. Viola di mare racconta la vittoria di un amore tutto al femminile, e a ricevere gli applausi sul palco un trionfo di femminilità, dalla regista Donatella Maiorca, alla produttrice Mariagrazia Cucinotta e le due splendide e bravissime attrici, Valeria Solarino e Isabella Ragonese.

La serata, dal risvolto forse troppo mondano e patinato ha purtroppo lasciato poco spazio alle parole e all’approfondimento delle tematiche sottostanti a un premio così importante e necessario per la nostra cultura, ma è comunque un passo importante per la valorizzazione della voce delle donne.

Mi auguro che il prossimo Premio Afrodite acquisisca sempre più importanza e la giusta visibilità che merita, affinché l’ intelletto colto, ironico e raffinato delle donne trovi finalmente la sua rilevanza in un posto che diritto gli appartiene e possa esprimersi in tutta la sua potenza creativa senza perdersi in esasperanti rivendicazioni.

Thank to Candy per le foto

Ora non ho più scuse

Dopo aver visto questa efficace comunicazione pubblicitaria, non posso più nascondermi dietro la mia presunta incompetenza ai fornelli. Certo, è anche una questione di esperienza, ma delle volte basta ritrovare quel semplice ingrediente per fare la differenza.

Bike Sharing a Roma e il sogno di pedalare attraverso la storia

bikesharingroma.gifOggi ho profondamente amato Roma, di quell’amore fatto di speranza e di compassione. La speranza che il mio voto alle Regionali cada su un soffice e grosso cumulo di schede elettorali amiche, e la compassione verso una città fascinosa, suggestiva, poetica, ma ammantata da un velo di decadenza e trascuratezza che stringe il cuore.

Oggi mi sono iscritta al servizio di Bike Sharing del Comune di Roma che ti dà la possibilità di prelevare le bici dalle rastrelliere dislocate in diversi punti della città e di percorrere le viuzze del centro storico sotto il tiepido sole della primavera romana.
Ci si iscrive presso le Biglietterie Atac autorizzate acquistando una smartcard al costo di 5 euro e poi si scorrazza allegramente su due ruote ecologiche al costo di 50 centesimi l’ora.
Le nostre bici sono funzionanti e la manutenzione sembra essere conforme agli standard richiesti, ma la mia è una sola piccola esperienza che lascia il tempo che trova insieme alle tante polemiche relative a questa attività.
Io la trovo efficiente e di discreta qualità (c’è anche un’app per iPhone).
Si dovrebbe investire molto di più su questo servizio per portarlo anche oltre il centro storico e nei punti strategici della città (università, scuole, uffici pubblici, ospedali) e comunque almeno nelle vicinanze di tutte le fermate della metropolitana. Potrebbe essere così un reale servizio al cittadino e non solo ai  turisti e a chi, come ho fatto io oggi, ha il tempo e il desiderio di fare una bella passeggiata domenicale per la città.

La domenica il tempo scorre più lentamente e la frenesia della quotidianità è solo un lontano ricordo mentre lentamente pedalo tra le antiche vie della mia città. Ma più il sole splende, più il cuore mi si adombra nello scoprire l’incuria e la sciatteria in cui sta sprofondando la Capitale: strade dissestate, traffico selvaggio anche di domenica, un Lungotevere, proprio al livello del fiume, sporco e vergognosamente lercio, alle cui scale si accede solo attraversando una coltre fatiscente di effluvi urinari.
Le grandi metropoli europee, che tutto hanno da invidiare alla nostra Roma,  hanno investito in strutture di svago e divertimento per il cittadino, mentre noi stiamo ancora fermi a una modesta estate romana fatta dalle solite bancarelle e da qualche modesta iniziativa culturale…
E poi angoli sporchi, spazzatura ammucchiata e mai raccolta che interrompe il passeggio e ti costringe a sollevare la bici per poter andare oltre su quella che dovrebbe essere la pista ciclabile del Lungotevere. Amarezza e delusione mi accompagnano mentre riconsegno le bici nella prima rastrelliera che incontro.
Poi passeggio a piedi verso casa, travolta dai rumori degli autobus, le risate dei turisti e le chiassose chiacchierate dei romani che sorridono e corrono verso il centro: Campo de’ Fiori, Piazza Navona e i baretti fashion stanno già preparando i tavolini all’aperto per l’orario dell’aperitivo.
C’è ancora il sole, ma sono già passate le sei..oggi è il primo giorno dell’ora legale e una luce fiabesca illumina i volti della gente, i palazzi antichi di Corso Vittorio, si rifrange sugli specchietti dei motorini e riscalda l’abbraccio di Marco che mi stringe forte e felice di aver trascorso insieme un delizioso pomeriggio nella nostra amata Roma.

La Casa della Speranza: l’avventura continua

raggi di speranzaLa mattina di tre anni fa accesi il telefonino. Mi avevano cercato. Da Catania. Da Acireale. Sapevo già cosa volevano dirmi. Rimasi ferma per un lunghissimo attimo.
Mi ritorna alla mente l’immagine di me stessa  immobile col cellulare in mano, nella vecchia casa.
Mi voltai e dissi: devo tornare in Sicilia.

C’ero stata qualche settimana prima e lei lo sapeva che quella volta sarebbe stata l’ultima occasione per abbracciarci come non avevamo mai fatto in tanti anni di amicizia. E mi strinse con la sua debole forza.
Io le dissi senza crederci: ci vedremo ancora. E lei si limitò a sorridermi.
Ora, quando penso a Viviana, mi vengono in mente solo i nostri viaggi insieme, l’Erasmus e le lunghe conversazioni telefoniche.
Dei mesi della malattia non ricordo immagini, ma solo parole, sensazioni e il fremito del suo respiro. E poi tante risate. Le risate soffocavano in qualche modo la sofferenza di chi sarebbe rimasto e forse, chissà, attenuava i dolori che ogni giorno puntualmente ricordavano a Viviana che ciò che stava finendo stava in realtà generando altro.
Oggi parte di “quell’altro” è la realtà concreta della Casa della Speranza, un’opera a favore degli ultimi che Viviana ha voluto con tutta se stessa e che i suoi genitori, gli amici e i volontari dell’Associazione Viviana Lisi stanno portando avanti con devozione e grande entusiasmo.

La Casa della Speranza “Viviana Lisi” si trova in Corso Europa Riposto (Ct)

Per informazioni, donazioni o semplicemente per acquistare il libro Raggi di Speranza potete scrivere a:

associazionevivianalisi@yahoo.it

casasperanza.vivianalisi@yahoo.it

info: 339 8424118

Isola d’Elba: manuale di sopravvivenza

isola d'elbaL’Isola d’Elba è molto bella, ma in Italia abbiamo mari più limpidi, panorami più incantevoli e suggestivi che gravano meno sul portafogli (alcune zone della Puglia, la Sicilia e la Calabria per esempio) dove si mangia meglio e c’è più vita notturna.

Ma all’isola d’Elba se sei innamorato, hai voglia di belle spiagge libere, pulite e un minimo attrezzate, mare trasparente, poca confusione e voglia di stare core a core col tuo amore, è il posto che fa per te.
Ma attenzione, l’isola impervia non ti aspetta col suo bel tappetino rosso e non si lascia neanche conquistare facilmente.

I primi due giorni infatti, un po’ confusi e maldestri, li trascorriamo a tentare di addomesticarla e sembra che essa non voglia farsi conoscere.
Il nostro tentativo di percorrerne il perimetro in auto, alla scoperta delle spiagge e calette più nascoste viene scortesemente deviato dalla stessa strada che ci porta ad inerpicarci tra le curve infinite del Monte Capanne…avessimo visto almeno un muflone…
L’altra spiacevole sorpresa sono i prezzi non esattamente contenuti, del tipo pesche 3 euro e 50 al chilo o cocomero 1 euro e 20 al chilo, che ti passerebbe pure la fame, ma il condizionale è d’obbligo, perchè il cocomero lo compro lo stesso!

Ma non ci lasciamo abbattere nè dalle curve, nè dal cocomero che, vista la strada, mi si ripropone minaccioso a ogni sterzata e, curiosi e ostinati, portiamo avanti la nostra esplorazione nella natura aspra e selvaggia.

Ed eccoci felici e soddisfatti passeggiare sulla spiaggia granulosa di Cavoli (nel comune di Marina di Campo a sud) pienia di ggiovani (categoria sociale particolarmente latitante nell’isola, soprattutto quella compresa nella fascia 20-40 anni). Poco più avanti lo scenario cambia e la spiaggia di Fetovaia, ricca di famigliole felici, si ritrova avvolta dalla macchia mediterranea che regala ampi spazi d’ombra alle nonnine che osservano i nipoti fare i castelli di sabbia sulla battigia. Mano nella mano, io e il mio maritino ci spingiamo più in là fino a scovare un nuovo scenario marino, quello di Pomonte nel comune di Marciana a ovest dell’isola.
La spiaggia di Pomonte è vestita da grossa ghiaia liscia e levigata. Al contatto con le onde del mare le pietruzze cicciotte rotolano e si inseguono tra di loro come giocassero a rincorrersi. Di fronte alla riva, su un fondale di appena dodici metri vicino allo scoglio dell’Ogliera, giace una nave da carico affondata nel 1972.
Altre splendide calette si trovano nella zona nord nel comune di Marciana Marina, tra S. Andrea e Procchio, ma è una zona su cui non ci soffermiamo molto.

Infatti dopo aver visitato gran parte delle spiaggette di cui sopra,  finalmente troviamo la nostra oasi nel lido di Lacona, (a sud dell’isola nel comune di Capoliveri) spiaggia libera, pulita, confortevole, discretamente frequenata (prevalentemente italiani del nord e francesi) chioscodotata per pausa caffè shakerato per Marco e ghiacciolo al limone per me (con l’età si scoprono i sapori stigmatizzati in gioventù).

Gli ultimi 4 giorni di vacanza (per un totale di 6!) si sono così susseguiti: ore 8.30-12.30 spiaggia di Lacona, rientro nel nostro miniappartamento attufato per pranzo prevalentemente a base di pasta col tonno e/o sughi pronti, superpennichella, televisione spazzatura, lettura, cruciverba e quant’altro, ore 16.30-19.30 ancora mare, poi rientro in mini appartamento attufato, toletta e via verso una nuova avventura mangereccia in uno dei paesini dell’isola.

Il più bello in assoluto è Capoliveri, ex borgo di minatori, arroccato in collina, dalle cui terrazze si possono ammirare panorami mozzafiato al tramonto.

Che immagine romantica, io e il maritino abbracciati che guardiamo il mare caldo pronto ad accogliere un sole ormai stanco, manco fossimo in una copertina di un 33 giri di Claudio Baglioni!
A Capoliveri è bello passeggiare per le viuzze in salita, tra gradini altissimi e archi bui che aprono a prospettive impreviste, e poi fermarsi in piazzetta a bere una birra fresca, guardare la gente, fare due chiacchiere e mettere a confronto le braccia per vedere chi è più abbronzato.

Ma a Capoliveri è commovente andare al ristorante il Chiasso (gentilmente suggerito da Marco Massarotto) e ordinare il cacciucco speciale di Luciano che inebria lo spirito e i sensi e illumina il mio volto di gioia.

E poi c’è Portoferraio, troppo fashion, troppo patinata e brulicante di forestieri briatoreggianti col colletto della polo all’insù e poi barche, yacht, chill out e quell’olezzo stantio di buddha bar oramai sconfitto dal tempo.
Ma ci piace vedere anche questa umanità mentre friendfeediamo sul lungomare sorseggiando il nostro aperitivo che miracolosamente ci costa solo 5 euro.

La collettività di Porto Azzurro è più variegata e ci priva del piacere della derisione come a Portoferraio, ma almeno è colorata, rumorosa, allegra e fa compagnia, anche se di ventenni e trentenni neanche l’ombra!

Forse ce n’è qualcuno di più a Marina di Campo dove imperversano i pub e qualche localino lounge minimal, sia di arredamento che di avventori.

L’isola d’Elba è semplicemente così, in gran parte selvatica, un po’ arcigna e arroccata sulle sue sicurezze, un po’ renitente, ma generosa, coi suoi tempi e i suoi ritmi.

L’isola ti accoglie, ma non ti coccola, ti da’ ciò di cui hai bisogno, ma senza smancerie.

L’isola è ferma lì, non aspetta te, e quando arrivi è contenta, ma il suo sorrriso sarà sempre a mezza bocca.

La vita è una storia raccontata da un idiota…

som-e-furiaUno scoraggiante interrogativo serpeggia tra gli addetti ai lavori che seguono con passione il Roma Fiction Fest: perchè il modello produttivo seriale italiano rimane incancrenito nelle sue mediocri sicurezze e non osa sperimentare come si fa ormai da tempo in tutta Europa? Ho ascoltato le risposte più disparate e spesso anche disperate, ho sentito ipotesi, teorie e previsioni disfattiste su un futuro sempre più buio. Mah…, sarà che la mia esperienza sul campo è forse relativa, sarà l’ottimismo radicato nel modello di cultura democratica che dilaga in rete e di cui mi faccio pasionaria sostenitrice, ma proprio non riesco a farmi convincere da nessuna di tali argomentazioni e preferisco affiliarmi alla teoria che sia sempre e comunque colpa di Berlusconi, così, tanto per dire la mia anche io.

Al di là delle polemiche, il Fiction Fest continua a offrire storie di altissimo livello, ahimè, spesso in contemporanea, pertanto la scelta è sempre difficile. Ieri è caduta, nel primo pomeriggio, su Collision, serie inglese dalla programmazione atipica per i palinsesti italiani. Infatti in Gran Bretagna, viene messa in onda una puntata sola da 45 minuti ogni giorno dal lunedì al venerdi. Un incidente stradale coinvolge diverse persone accomunate da un’ unica cosa, quell’evento cambierà per sempre le loro vite e rivelerà uno scenario fatto di corruzione, contrabbando, appropiazioni indebite e tentativi di insabbiamento da parte del governo. Immagini chiare, ma dall’anima troppo fredda, mi hanno emozionato ben poco, lasciandomi una sensazine alquanto asettica che però ho subito abbandonato quando mi sono ritrovata davanti al capolavoro Som e Furia del premio oscar (per City of God) Fernando Meirelles.
Per il Fiction Fest, il regista brasiliano ha montato in maniera magistrale 12 puntate in un unico film di poco meno di due ore, riuscendo a restituire una fluidità della narrazione che mi ha appasionato già dalla prima scena.
Som e Furia è il remake del format canadese Slings and Arrows che riprende il titolo dal celebre monologo di Amleto:

To be or not to be: that is the question:
Whether ‘tie nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them?

Amleto, il personaggio, vittima di un’ insopportabile pressione emotiva si interroga e analizza se stesso e soffre. Allo stesso modo Dante, l’attore, è vittima della sofferenza per il tradimento subito da quella che riteneva essere la sua famiglia, la sua Ofelia/Elen, il suo direttore artistico, Oliveira. E, vittima della stessa follia del personaggio, l’attore fugge dal palco lasciando calare il sipario del fallimento sul suo destino. Ma la compagnia va avanti senza infamia e senza gloria e, alla morte di Oliveira, affiderà la propria sorte allo stesso Dante. Dopo alcune difficoltà iniziali, il fanstasma dell’amico/traditore Oliveira accompagnerà con ironia Dante nella sua missione e sarà testimone del superamento di quella follia del passato che si perde negli scrosci degli applausi per il successo ritrovato.  Una danza di amori, intrighi, passioni e risentimenti viene messa in scena sul palcoscenico e fuori da esso, quasi come fosse irrilevante la distinzione tra vita e teatro. E ci rimane così una storia ricca di rumore e furia (Som e Furia) che forse non significa nulla, ma regala un’emozione intensa e indimenticabile.

La vita è una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furia, e che non significa nulla. Macbeth (atto V scena V)

La combriccola dei matti al Fiction Fest

psychoville_coverPer me Terence Hill rimarrà sempre relegato negli anni ’70 nelle mitiche e luride vesti di Trinità! Proprio non ce la faccio a immaginarlo conciato da bagarozzo che investiga tra le sante vie di Gubbio. Eppure ieri, al Fiction Fest, la sua presenza ha segnato il picco massimo di esultanza del pubblico, accorso ad acclamare il buon vecchio Don Matteo. Questo è stato l’unico momento che, ahimè, (e lo dico con sincero dispiacere) ho dedicato alla fiction italiana.

Lontana dal coro osannate, ho lasciato fare al mio intuito e ho varcato la porta di una dimensione altra, quella di The Wrong Door. Sketch bizzarri animati da freaks di ogni tipo che vivono situazioni ai limiti e che ricostruiscono la realtà, riuscendo a restituire plausibilità anche all’assurdo. Perciò può risultare “normale” fidanzarsi con un dinosauro, vedere robot giganti ubriachi alla ricerca delle chiavi perdute, assistere alla progettazione dell’uomo più insopportabile del mondo,  partecipare ai provini da supereroe (non meno strampalati dei nostri “reali” talent show) e infine comprare armadi dal nome evocativo (Narnja) che introducono in un universo parallelo opprimente e snervante da cui è molto molto difficile uscire, un po’ come all’Ikea. Animazioni 3D e attori in carne e ossa si alternano in uno scenario dal sapore comico e burlesco in stile tipicamente british che non disdegna però il colorito toilet humor.

Ma l’apoteosi dell’umorismo perverso si è incarnato nella combriccola dei matti della dark comedy Psychoville. Un’ unica minaccia  incombe sul loro destino, una lettera anonima che recita l’angosciante e misteriosa intimidazione: I Know What You Did. Ed eccoli agitarsi inquieti: un nano telecinetico, un’infermiera ossessionata dall’idea di crescere un bambolotto come fosse un vero bambino, madre e figlio serial killer che metterebbero paura persino a Norman Bates, un collezionista di pupazzi che si è venduto gli occhi per la sua ossessione e infine il clown Mr. Jelly, sinistro animatore di feste per bambini. E’ decisamente lui il mio personaggio preferito, rappresentazione catartica dell’evoluzione della mia anima nera se avessi continuato la carriera di animatrice.

E a proposito di combriccola di matti, non c’è più matto di chi sa sognare. E il sogno più grande è il mondo perfetto. Partendo da questa ricerca, Massimiliano Davoli ha girato il bellissimo documentario Through Smoke and Mirage che racconta l’esperienza di Black Rock City.
Black Rock city è una città che vive solo pochi giorni nel deserto del Nevada e in cui si svolge il festival The Burning Man. Chiunque ha l’opportunità di esprimere se stesso in totale libertà, di sperimentare sogni, idee, fantasie sul mondo e sull’arte in tutte le sue forme. In questa comunità temporanea vige esclusivamente la regola della partcipazione collettiva e del rispetto, duramente messe alla prova dalle spesso ostili condizioni ambientali, dal caldo estremo alle tempeste di sabbia. I membri della comunità, vivono e si relazionano seguendo i principi dell’economia del dono. Per cui, abolito il denaro, ognuno dona un po’ di sé all’esperimento di comunità. E per celebrare la liberzione dalla schiavitù dei condizionamenti sociali, il sabato sera si dà fuoco al fantoccio di legno, the Burning Man. Ma questo grosso fumo rappresenta solo un miraggio o qualcosa sta cambiando davvero?

Questo interrogativo chiude la mia prima giornata al Roma Fiction Fest 2009.

Roma Fiction Fest

fictionfest Domani si aprono le danze sul panorama delle fiction italiane e internazionali. Preventivamente accreditata, mi dividerò per tutta la settimana tra il cinema Adriano e l’Auditorium della Conciliazione alla ricerca di idee, contatti, personaggi, storie e ispirazioni di ogni tipo. Ma soprattutto mi addentrerò nel misterioso mondo del linguaggio visivo contestualizzato sperando di trovare una risposta e successivamente una risoluzione al grande enigma: perchè certe cose in Italia non si possono fare e all’estero sì?
Che cosa manca al pubblico italiano generalista per poter apprezzare certe sperimentazioni linguistiche? Il dibattito è molto complesso, ma realtà come Romanzo Criminale mi lasciano ben sperare.
Bene, non mi resta che aspettare che si alzi il sipario sul Roma Fiction Fest.

Il rione Monti: qui si fa ancora vita di quartire

montiQuesta sera ho scoperto un po’ di quella Roma che non conoscevo, la Roma delle torri medioevali.

In realtà il tutto è nato da Ti racconto la Storia di Monti a cura della società Anthena. Ho scoperto che il rione Monti, di cui sono particolarmente appassionata in questo periodo, è molto più esteso di quanto immaginassi e, al di là dei negozi vintage, le botteghe artigianali e i locali di tendenza, nasconde degli scorci tipicamente medioevali che si allontanano dall’iconografia classica che da sempre rappresenta la Capitale. Una visita guidata di un’ora e mezzo attraverso le viuzze suggestive che fecero da teatro alle vicende delle antiche famiglie romane rivali dai nomi altisonanti che si sfidavano costruendo torri una più alta dell’altra. E così ecco che in via degli Annibaldi scopro la torre omonima, in piazza San Martino ai Monti, dove campeggia l’omonima chiesa, si erge la torre dei Capocci che fronteggia baldanzosa la torre dei Cerroni e poi la chiesa di Santa Prassede fino al trionfo di Santa Maria Maggiore.

Quanto ci sarebbe da raccontare di questo rione, quanto ci sarebbe raccontare di questa città.  Amo Roma per quella che è e per quella che continuerò a scoprire giorno dopo giorno.