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La seconda giornata all’ #eBookCamp @Beach

Dopo una notte buia e tempestosa, il sole ha deciso di riappropriarsi del suo posto nel cielo a rischiarare, seppur timidamente, l’atmosfera ormai confidenziale della seconda giornata di lavori dell’eBookCamp @Beach.

A prendere la parola per primo ci ha pensato Stefano Tombolini che ha presentato uno sguardo sulla storia del diritto d’autore a partire dal documento The Economic Aspects of Copyright in Books di Sir Arnold Plant, pubblicato dalla rivista Economica nel 1934.

Francesco Rigoli ha, invece, puntato i riflettori sull’editoria di varia e le sue specifiche nicchie di riferimento che possono contare su peculiari canali di vendita e distribuzione, delineando, così, ipotesi di sviluppo di mercato, dei device di lettura e del lavoro redazionale, in vista di un incremento dei servizi editoriali.
Come ad esempio, sottolinea Mattia Quilici, l’investimento sulle piattaforme di distribuzione e la risoluzione della complessa problematica dei DRM.

Tra i tanti aspetti di riprogettazione delle dinamiche di sviluppo del prodotto c’è quello della conversione dei libri cartacei che può avvenire appoggiandosi a servizi esterni o investendo nel personale interno, come ha fatto Edizioni e/o Europa Editions di cui Gabriele Alese è digital editor.
Ciascun metodo ha i suoi pro e i suoi contro sapientemente descritti in queste slide.

La tangibilità dell’esperienza di lettura non viene annientata dalla digitalizzazione dei libri, afferma Mauro Sandrini, sociologo e ingegnere esperto di e-learning e innovazione.
Le librerie  e i luoghi di aggregazione che riusciranno a sopravvivere saranno quelli in grado di vendere servizi one shot legati al mondo fisico recuperando l’aspetto sociale della condivisione dell’esperienza di lettura.

E ciò vale maggiormente in ambienti di apprendimento e costruzione di saperi come la scuola, in cui il risvolto pedagogico della trasformazione culturale necessita di strumenti che il nostro Stato ha il dovere di fornire, previa adeguata formazione del personale.
Nel blog di Sandrini ho trovato questo pensiero che condivido in toto:

Forse il regalo più grande in arrivo dalle tecnologie degli e-book è un campo deserto. Che bisognerà arare, innaffiare e seminare. Non solo con i titoli dei libri da commerciare ma anche recuperando la capacità, e il piacere, della conversazione […] Che siano libri di carta o e-book poco importa.”

L’industria editoriale, nel raccogliere la sfida digitale, ormai non può più esimersi dalla rivalutazione del proprio ruolo di produttrice di beni culturali.
Spesso, l’abbarbicarsi a logiche di mercato obsolete induce a una deviazione dalle strategie di lavoro, per cui gli eBook non riescono a essere interpretati come un’opportunità di ridefinizione degli equilibri del mercato stesso.
In questo gioco d’equilibrio, un ruolo primario lo ricoprono le piattaforme di autopubblicazione come quella presentata da Antonio Tombolini, dall’icastico titolo Narcissus.
Narcissus fornirà tutti i tool necessari per realizzare e diffondere la propria opera in formato digitale, con in più la certificazione e la distribuzione su piattaforma Stealth e il riconoscimento di uno standard ePub validato.

Prendere sul serio la sfida del self publishing vuol dire quindi ripensare la politica dei DRM all’interno di una rielaborazione generale del modello di business che comprenda tutte le opportunità (culturali, sociali, economiche, democratiche…) di cui gli eBook si fanno portatori.

La responsabilità intellettuale degli autori e dell’industria editoriale nel loro tempo digitale è pensare digitale!

E pensare digitale  non dovrà più essere solo prerogativa di una minoranza!

P.S. Grazie agli amici di Agrycult, farmers community, che ci hanno offerto i suoi prodotti di qualità e ci hanno fatto conoscere la community supported agriculture.

P.S. Enrico Corinti mi ha segnalato due importante eventi:

Qui, invece, tutte le foto dell’ eBookcamp.



La prima giornata all’#eBookCamp @Beach

Il 18 e 19 settembre, presso lo stabilimento balneare Carlo&Domenico di Porto Recanati (MC), si è svolta la prima edizione dell’eBookCamp @Beach, nata da un’idea di Michele Marcucci, web wizard della Simplicissimus Book Farm che ha organizzato l’evento.

Tra cultori dell’innovazione, professionisti e lettori appassionati, gli speech (spesso pensati e rivisitati in seguito al continuo work in progress delle conversazioni) si sono susseguiti in un’atmosfera dinamica, poliedrica e collaborativa.

Ad aprire le danze l’intervento artistico del fotografo (e non solo!) Pippo Onorati che ha proposto un’interessante esperienza collettiva:
raccontare l’eBookCamp attraverso le immagini ritratte da noi partecipanti, armati di macchine fotografiche e smartphone.
Il cibo delizioso, i volti incuriositi, il contatto coi nuovi device, la quotidianità della tecnologia… Sono solo alcuni degli aspetti immortalati che andranno a completare un progetto fotografico collaborativo.

Ma i protagonisti assoluti dell’evento sono state le idee, le novità, le anteprime e le continue riflessioni sul futuro dell’editoria e dell’impatto sociale dei nuovi approcci alla lettura.

A tal proposito Omar Cafini (sviluppatore per iPad e iPhone) ha raccontato di iniziative editoriali lungimiranti che intendono ripensare i contenuti, in termini di elementi interattivi.
Inkling, ad esempio, è una app per libri di testo multimediali, che consente un’interazione coi contenuti su più livelli di fruizione e costituisce solo una delle tante esperienze interattive possibili.
Migliorare l’efficienza e l’usabilità dei contenuti diventa quindi condizione indispensabile, come ha spiegato Matteo Balocco, per una lettura confortevole e ottimizzata dei nostri eBook.
La tipografia, infatti, va oltre il puro aspetto formale, e rientra appieno nell’organizzazione e composizione di contenuti e linguaggi.
Una tipografia che conosce a fondo il contenuto, può collaborare attivamente anche all’attribuzione di qualità al formato digitale ePub per la sua leggibilità nei differenti device.

Ma come si pongono i lettori e gli autori nei confronti degli eBook?

A dare una risposta ci ha provato lo scrittore Luca Lorenzetti (autore di Scrivere 2.0), il quale, ha ideato un semplice questionario con l’obiettivo di comprendere le reali opportunità che gli eBook portano a chi legge e a chi scrive.
La percezione che si ha dalla lettura di un libro elettronico cambia in base al contenuto.
Se esso è portatore di emozioni (come nel caso di romanzi) necessita di una fisicità cartacea che possa appagare la richiesta di un’ esperienza sensoriale da parte del lettore.
La “freddezza” del device, invece, si addice di più a contenuti tecnici e specialistici.

Se invece si considera il punto di vista degli autori, più che su quelle di lettura, esso si focalizza sulle opportunità di visibilità che la pubblicazione in formato digitale offre.
Le conclusioni che deduce Lorenzetti dal suo personale studio, confermano quanto sia ancora necessario fare una giusta informazione sugli eBook e sulle potenzialità sociali e culturali che la fruizione di un testo digitale comporta.

Una delle prossime occasioni di confronto, ricorda Marco Barulli, potrà certamente essere E-book lab Italia, “una mostra convegno per tutti i professionisti dell’editoria digitale sul mercato italiano”, che si terrà a Rimini tra il 3 e il 5 marzo 2011.

L’ innovazione di cui si fanno portatori di eBook è un processo che sta declinandosi su diversi settori, dalle logiche di business, ai riflessi sull’essenza della scrittura, fino alla creazione di nuovi modelli culturali.

E forse, per alcuni aspetti, è proprio un certo sentimentalismo stantio a sottovalutare la portata di tale realtà.

Come saggiamente afferma Paolo Marasca, a fine lavori della prima giornata, chi ama leggere, legge lo stesso!
Non è il tatto o il fantomatico odore della carta a fare la differenza, ma è solo una semplice questione di abitudine!

To be continued



Verso l’eBookCamp @Beach

Il costume ce l’ho, i reader pure, il notebook è in carica, il Samsung Galaxy anche.

L’ombrello? Speriamo di no! Ma, in fondo, le nuvole non ci spaventano.

Domattina si parte alla volta di Recanati per la prima edizione dell’eBook Camp @Beach!

Alcuni tra gli esperti di editoria digitale ci parleranno dell’ottimizzazione degli standard di fruizione dei contenuti digitali, delle innovative strategie di business del mercato editoriale, delle nuove prospettive per il diritto d’autore e dell’importantissimo punto di vista dei lettori.

Se vi stuzzica l’idea di chiacchierare di scenari futuribili dell’editoria e di scoprire alcuni tra i device di ultima generazione, l’indirizzo è Lungomare Lepanto 36, Porto Recanati (MC).

Ferruccio Spinetti e Petra Magoni

Quando arriva l’estate, seppur calda e opprimente, il mio Amore per Roma si rinnova e si compiace degli spazi aperti che ospitano concerti e manifestazioni refrigeranti che ti riappacificano con le giornate spesso umoralmente condizionate dall’afa.

Ieri sera attorno al laghetto di Villa Ada centinaia e centinaia di persone si sono riunite per ascoltare la Musica Nuda di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti.

Una schizofrenia melodica che danza su un’armonia a tratti incalzante a tratti mansueta e che spoglia la musica, tirandone fuori l’essenzialità delle sonorità per poi rivestirle coi virtuosismi vocali di Petra Magoni.

E il testo si riappropria di vigore e del suo significato intrinseco e accattivante e rivive nel contrasto tra la voce morbida e acuta e il suono grave e deciso del contrabbasso.

Ferruccio Spinetti detta le pause, circoscrive gli spazi in cui volteggia libera Petra Magoni, per poi riacchiapparla quando la voce tenta la fuga. E la riporta nei confini di un quadro armonico e sublime. C’è una speciale intesa tra i due che restituisce un ascolto garbato e avvolgente.

Petra Magoni ci ha fatto conoscere anche un’artista inglese che vive a Roma e si chiama Sylvie Lewis che ha scritto alcune canzoni che saranno inserite nel loro prossimi album. Secondo me, merita di essere ascoltata.

L’orgoglio è di tutti! Non sprechiamolo

Ieri sabato 3 luglio è stato il giorno del Roma Pride.
Io non c’ero, perchè sarei andata solo per sentire della musica allegra e per assistere alla capricciosa creatività di costumi, carri, piume e pailletes.

Sì, c’è un leggero tono polemico in queste parole che si unisce, seppur per delle ragioni diverse, alla voce di tanti altri (ma non voglio entrare nel merito della questione perchè non sono sufficientemente informata dei fatti) che, come me, rivendicano a gran voce i diritti civili per chi ha semplicemente gusti sessuali differenti.

Manifestare è un diritto, un dovere, ma anche un’opportunità per dimostrare ciò che si è veramente e non fenomeni da baraccone (lo scrivo con la morte nel cuore) come purtroppo l’immaginario omosessuale continua ad essere da essi stessi rappresentato.

Amo la musica festante e i colori dell’arcobaleno, simbolo dell’armonia delle diverse sfumature di un unico grande colore, quello variopinto dell’umanità.

Ma la bandiera dei diritti civili dovrebbe smettere di sventolare sulle note degli ABBA  e di Madonna per svelare finalmente i reali volti delle diverse umanità appartenenti all’unica grande comunità civile di cui tutti facciamo parte e che è mossa, oggi più che mai, dall’urgenza della riconoscibilità attraverso le difficili conquiste sociali e politiche di tutti i giorni.

Diamo voce non alla rabbia, né tanto meno alla vacuità di spettacoli e balletti, ma alla legittima richiesta di riconoscibilità, laicità, autodeterminazione e comunicazione aperta e pacifica con le vecchie istituzioni attraverso proposte politiche concrete e strutturate.

Il rumore della rivendicazione deve essere colorato, divertente, ma il diritto va reclamato con una lotta pragmatica che affila piuttosto le armi dell’ironia come i meravigliosi manifesti del pride napoletano, estremamente più rappresentativi della comune collettività omosessuale.

Il pride è di tutti e appartiene alla comunità umana tutta, perciò io dico NO ai cartelli “Ero etero, ma sono guarita“! Perché la sessualità è una scelta emozionale e non una malattia, nè da un lato, nè dall’altro.
Si lotta insieme, nella diversità, ma uniti da un unico grande diritto, la civiltà e l‘integrazione contro l’unica grande perversione,  il clima di violenza e odio che si sta manifestando troppo spesso soprattutto nella nostra solare Capitale.

Qui i manifesti del Napoli Pride.


LOST, See you in another life, then!

“What lies in the shadow of the Statue?”  “Ille qui nos omnes servabit.”

E adesso, all’ombra del gran finale, chi ci salverà dall’astinenza da LOST?

Lost è stato un compagno fedele in questi sei anni. Insieme abbiamo condiviso momenti di tensione, suspance, dolore, stupore e attimi di stordimento. Lo abbiamo amato, cercato disperatamente, atteso che ci rivelasse lentamente i suoi misteri, ma dietro ai piccoli barlumi di verità ci ha rivelato ulteriori arcani, simbologie e rompicapo filosofico/esistenziali.

Ad ogni modo, sin dal pilot, il tocco magico di Jacob ha sfiorato ciascuno di noi risucchiandoci inevitabilmente nell’isola per affrontare un lungo viaggio interiore tra momenti di spiritualità, spiegazioni fantascientifiche e abbandono totale all’emotività.

In ogni personaggio abbiamo trovato una parte di noi stessi, un nostro difetto, una frustrazione, una comunione di sensi, un ideale di esistenza. Abbiamo amato prima l’uno, poi l’altro, ci siamo sentiti da essi traditi e riconquistati, fino a non poter fare più a meno di loro.

E adesso che non ci sono più, ci sentiamo abbandonati, delusi dalla mancata risoluzione drammaturgica di tutti i quesiti, avvolti da questa luce mistica e spirituale rappresentata con tutti i luoghi comuni della banalità e del sentimentalismo, cirocondati da quadri approssimativi e superficiali lontani da quella complessità e profondità a cui ci avevano abituati.

Lost l’ho amato col cuore e con la mente, e ho sofferto per il finale, per le spiegazioni non date e per quell’inevitabile abbandono al quale forse non ero pronta e che più mi ha emozionato nel momento in cui Vincent si accuccia davanti a Jack scrivendo figurativamente la parola fine.

Ma qualcosa rimane per sempre, le persone con cui abbiamo condiviso questa esperienza, una grande community legata dalla passione per questo un lungo racconto che ci ha accarezzato con i grandi interrogativi sull’ineluttabilità del destino e sulla forza del libero arbitrio, sul legame tra scienza e fede, sui confini tra il Bene e il Male, sulle ombre che risiedono in ciascuno di noi.

In qualche modo il destino ci ha fatto ritrovare in questa sideways reality e abbiamo dato vita a una community in cui ciascuno, connesso l’un l’altro, ha condiviso idee, visoni del mondo, teorie, conflitti interiori e momenti di ridanciana complicità come la Maratona Lost.

Una delle tante esperienze di vita reale in cui incontriamo tante  persone che si oppongono al nostro cammino, che ci aiutano, che dicono una sola parola, quella giusta, persone che evocano la nostra parte più oscura, altre che ti stupiscono rivelandoti la bellezza del tuo mondo interiore. Le amiamo e le odiamo e questo legame durerà per sempre al di là dello spazio e del tempo. Qualcuno resterà per tutta la vita, di qualche altro rimarrà solo il ricordo, ma tutte avranno lasciato delle tracce indelebili nella nostra vita. La vita è un luogo che si costruisce insieme.

“This is a place that you all made together so that you could find each other”  (Christian Shephard)

“Nunc est bibendum!”

“Ora viene la dolcezza della sera,
Riempite la coppa e passatela in tondo”
William Shakespeare

Il vino, con i suoi sapori cangianti, mi ha accompagnato in un viaggio tra i suoi profumi, inebriata anche dal piacere di condividere questa esperienza con le ragazze di Hagakure e con alcuni foodblogger romani.

Ieri sera, infatti, ho partecipato all’evento Voiello ” A Roma con il vino“.

Il vino è stato protagonista assoluto, ma ha espresso il meglio di sé abbinato a tre differenti portate a base di pasta.
Perché il vino ha una sua personalità anche bevuto da solo, ma accompagnato da buon cibo sa essere davvero sublime.

Come in amore, anche in tavola l’alchimia dei sapori è data da un corretto abbinamento e oggi, grazie alla professionalità e alla simpatia della sommelier Eleonora Giglio, il mio palato è un po’ più raffinato e pronto ad accogliere questa sinfonia di sapori con maggiore consapevolezza.

Sul tavolo ciascun piatto si è congiunto con un vino dalla forte identità visiva, olfattiva e gustativa.

Ed ecco che i Vermicelli con gallinella e santoreggia si ravvivano all’incontro con un Perdaudin – Roero Arnais, i Fusilli bucati corti alle sarde e finocchietto si abbandonano all’Occidens – Terzavia Renato De Bartoli e gli Schiaffoni con ragù di agnello al rosmarino rinnovano il loro vigore con un Cagnulari – Isola dei Nuraghi.

Abbinamenti preziosi e raffinati, una morbidezza dei vini tale da preparare la bocca ad accogliere, di volta in volta, sapori differenti.

La consistenza che determina il grado alcolico deve essere perfettamente bilanciata alla persistenza, che è quel gusto, quel sapore che continua a perdurare in bocca.

Ecco perchè spesso vediamo i sommelier roteare il calice. Studiano la circonferenza che il vino lascia sulle pareti con le sue goccioline (tecnicamente dette lacrime) che scendono, più o meno lentamente, disegnando piccoli archetti.

Più archetti e quindi più gocce che scorrono con lentezza, maggiore sarà il grado alcolico.
Un buon vino pertanto ha il compito di conquistare l’armonia tra persistenza e consistenza al fine di accompaganre onorevolmente un buon piatto.

I vini si abbinano al cibo per contrapposizione o per concordanza.

Per piatti molto grassi come il salmone per esempio l’ideale sarebbe un vino frizzante, poco consistente.
Un radicchio, dal gusto amaro e deciso, predilige un vino morbido dalla discreta alcolicità, un bistecca alla piastra il cui grasso si scoglie, può esaltare la sua untuosità con un vino delicato e non troppo alcolico.

Nel caso dei dolci è preferibile un abbinamento per concordanza, ma anche in questo caso bisogna tenere in considerazione la tipologia del dolce. Per quelli cioccolatosissimi (dal 70% in su) sono preferibili il Porto, lo Sherry o l’Ala siciliano. Le paste lievitate invece prediligono gli spumanti e le torte cremose e a sfoglia gradiscono vini non troppo dolci ma dal tasso alcolico impegnativo.
I gelati e i sorbetti sono dolci indipendenti la cui temperatura fredda abbatterebbe il sapore del vino.

D’ora in poi, tutte le volte che mi troverò di fronte a un calice di vino ne osserverò la limpidezza nel tentativo di scoprirne l’età e la tipologia, mi abbandonerò ai suoi profumi e fingerò di riconoscerne il vitigno, il modo in cui è stato affinato, se in botte, se in acciaio, e, infine, ne assaporerò il gusto, riceverò le sue sensazioni tattili e aspetterò che la mia bocca si preparari ad accogliere un buon piatto di prelibatezze.

“Come si ricorda il sapore del vino quando il bicchiere
Ed il suo colore sono ormai perduti”
Kahlil Gibran

Gli Amici

Gli Amici si incontrano, si scelgono l’un l’altro secondo una naturale e inconsapevole selezione. Spesso mille ragioni li accomunano e il tempo li aiuta a costruire fiducia e complicità.

Ma l’Amicizia ha mille facce e domina sul tempo, perché, quando si ritrovano, gli Amici si riconoscono condividendo un piccolo momento, una serata, e creano una corrispondenza di comuni sensi che nulla pretende e gioisce del puro fatto di esistere.

E in quei momenti ci si affida l’un l’altro ballando insieme, cantando insieme e quella condivisione vince su mille consigli e mille abbracci.

Gli Amici amano stare insieme perché è nella loro natura. Ma gli Amici entrano ed escono dalla tua vita quando meno te l’aspetti. Un amico non è per sempre, ma è per quel momento e quel momento assume le sembianze dell’eternità, perché rimane nei ricordi nelle sensazioni e lascia un’impronta indelebile che non sfumerà mai.

L’Amicizia è un incanto perché non finisce mai di stupirti.

Voglio vivere così

Nei miei tentativi spesso maldestri di coltivare il pensiero positivo, un ruolo fondamentale lo ricoprono le ingenti dosi di iperico che ingurgito quotidianamente con tanta acqua e tanta buona volontà. Effetto placebo o no, in fondo quello che conta sono i risultati, e qualcosa è cambiato.

Ciò che mi circonda è sempre uguale, la realtà è sempre quella e io ho la stessa faccia, stessa ciccia, stessi problemi, stesse difficoltà, stessi scompensi ormonali.

Ma, semplicemente, ho preso una decisione: entrare in empatia con la positività, con il pensiero benefico e costruttivo, con lo scopo di coltivare una prosperità intellettuale ed emotiva.
Il tutto da sola, al di fuori di qualsiasi setta e rigorosamente lontana da santoni, medium, evangelisti dell’automotivazione e manuali di sopravvivenza nella giungla umana. Ci sono già cascata da giovane ventenne quando, smettendo di mangiare carne, pensavo che avrei raggiunto la decima illuminazione (effetti collaterali da Profezia di Celestino). Ora sono grande e adoro le grigliate di agnello e salsiccia!

Perciò, stante il fatto che il risultato della mia vita attuale, nel bene e nel male, è il risultato delle mie azioni, condite dalla sorte, (spesso amica, spesso ostile) sono arrivata alla conclusione che il mondo non è brutto e cattivo e ciò che ritorna indietro è anche il risultato di ciò che io stessa do’ a questo mondo.

La mia vita non va esattamente come vorrei, come pensavo sarebbe andata a 34 anni, ma da un po’ di tempo riesco a vedere un po’ di bellezza ogni giorno e ho scoperto il sapore buono del salutare le persone, chiedere per favore e rispondere sempre con grazie, dire quello che penso (cercando di tenere in considerazione la sensibilità di chi mi sta davanti), fare tante figuracce ed essere anche un po’ credulona.  Spesso sono costretta a fingere, per sopravvivere, ma sempre per reazione e mai per azione.

Se raggiungerò un equilibrio non lo so e forse neanche mi importa, perché è una illusione che si scontra violentemente con gli eventi della vita. Ma non voglio più pensare che è tutta colpa mia o tutta colpa degli altri. La furbata sta nel non sostituire la realtà con un’ altra fittizia e artificiosa, né tantomeno nella ricerca di momenti di spiritualità e congiunzioni con il divino che io mai potrò raggiungere in questa vita.  Certo, rimane un modello di riferimento, ma non è una meta. Con i piedi fissi per terra accetto la realtà, insieme ai miei limiti intellettuali e fisici compreso un corpo un po’ ingombrante e sproporzionato rispetto al mondo (anche se in questo caso, lo confesso, ho adoperato il metodo “deep impact”: nudismo e cultura del corpo libero).

Alla fine cosa è cambiato?

Tutto e niente, proprio come quando mi sono sposata: stessa casa, stesso grande amore, stessa infinita felicità, ma dentro di me una consapevolezza in più, quella di aver avuto il privilegio di provare emozioni e sentimenti avvolgenti, quel privilegio che ti spiana la strada verso innumerevoli visioni della vita e ti stupisce suscitandoti un sorriso quando vedi un giovane coatto al semaforo, su un motorino coatto che canta una canzone d’amore coatta e non puoi fare a meno di cantare insieme a lui. Lui ti guarda, ti sorride, ma poi il semaforo si fa verde e ognuno va per la propria strada. Ma tu quel giorno hai cantato a squarciagola.

Take care!

I ricordi più belli sono spesso legati agli affetti e ai legami che abbiamo costruito con le persone.
La vocazione a condividere emozioni ed esperienze in maniera incondizionata è una virtù fortemente minata dalla cultura della paranoia e della sfiducia che porta inevitabilmente alla chiusura emotiva e all’attaccamento morboso e difensivo delle proprie certezze. In altre parole, la paura dell’altro ci mette di fronte al rischio di un’involuzione della dignità personale e del sacrosanto diritto alla completezza umana.

Prendersi cura di se stessi passa anche attraverso un semplice scambio di battute con una cameriera di un locale che ci porta un dolce striminzito rispetto alle nostre aspettative. E se alle nostre rimostranze acide e scortesi, lei reagisce naturalmente con uno sguardo risentito, vuol dire che quell’atteggiamento inopportuno, da parte nostra perché sgradevole, da parte sua perché non confacente al ruolo, ha creato una relazione puramente strumentale e arida, priva del piacere dell’umanità. Un passo indietro nel cammino spirituale ed etico di noi in quanto Menschen e del genere umano tutto in quanto ne siamo elementi attivi.

Ritrovare la fiducia nelle piccole relazioni, anche quelle di un giorno, di un attimo, è un piacere di cui abbiamo dimenticato (o forse mai conosciuto) il godimento. Avere cura delle persone con piccoli gesti, può aiutare a liberarsi da quell’immagine antisociale di noi stessi che ci rassicura e preserva le nostre certezze e la nostra identità spesso vittime delle esperienze della vita.

Le relazione umane sono dei piccoli mattoni che costruiscono il progresso civile in tutte le sue forme, politico, sociale, tecnologico, scientifico.
La compassione come inclinazione umana alla quotidianità è l’unico sentimento in grado di trascendere gli embarghi emotivi e di regalare la possibilità di cogliere la vita in tutti i suoi aspetti, nel bene e nel male.

“La zona è forse un sistema molto complesso di insidie…non so cosa succede qui in assenza dell’uomo, ma non appena arriva qualcuno tutto comincia a muoversi…la zona in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo… ma quello che succede, non dipende dalla zona, dipende da noi.” (Stalker di A. Tarkovskij, 1979)