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Un piccolo capolavoro al Roma Fiction Fest: Treme

David Simon è sceneggiatore di The Wire, racconto critico e pessimista sulla dura realtà della metropoli americana di Baltimora i cui protagonisti, si intrecciano con la ferocia criminale, il traffico di droga e la corruzione dilagante.

David Simon preferisce le narrazioni crude, realistiche e corali, esattamente come fa in Treme, serie tv che prende il nome dal quartiere di New Orleans che ha ospitato i più grandi jazzisti della città.

Tra il 29 e il 31 agosto 2005, l’uragano Katrina, fenomeno atmosferico largamente sottovalutato, sfondò gli argini risaputamente deboli e insufficienti del Mississipi, sommergendo buona parte della città.

Treme racconta la vita di coloro che hanno deciso di non lasciare la città allo sfacelo e all’ abbandono a cui la condannò l’amministrazione Bush, incapace di correre in soccorso dei suoi cittadini nella gestione della catastrofe provocata dall’uragano.

Ognuno, a modo suo, cerca una ragione per andare avanti nel post-Katrina.

Creighton Bernette, scrittore benestante, intepretato dall’ingombrante (sia nella mole che nella veemenza con cui rivendica i diritti della sua gente) John Goodman, esprime apertamente e con foga davanti alle telecamere tutta la sua rabbia contro le istituzioni assenti.

La moglie di Cray, Toni, avvocato, cerca di portare a suo modo un po’ di giustizia tra i sopravvissuti; Ladonna proprietaria di un bar nel cuore di New Orleans, è determinata a ritrovare il fratello, prima detenuto e poi disperso dell’O.P.P. (Orleans Parish Prison). Ma deve scontrarsi con la burocrazia e l’omertà dei vertici dell’O.P.P. che decise di tenere rinchiusi i detenuti durante l’uragano.
E poi c’è la cuoca Janette che lotta per mantenere il suo ristorante o Davis che intraprende la sua lotta politica a suon di rime musicali.

La gente ha voglia di riprendersi, la propria vita, la propria musica, le proprie tradizioni. Come  i festeggiamenti del carnevale, con le parate degli Indiani pellerossa del Mardi Gras, il cui capo Big Chief si ribella al governo che blocca il piano di ricostruzione delle case agibili, occupando il suo vecchio bar.

Ognuno, insomma, esprime il proprio dissenso: chi suonando, chi mantenendo aperta la propria attività, ciascuno sfoderando il sublime talento della sussistenza, senza rinunciare ai propri sogni e ai propri diritti nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Destino comune che li riunisce nel trionfo di colori e musica dei festeggiamenti del Carnevale.

Giallo a Milano: un esperimento innovativo al Roma Fiction Fest

Tra le varie masterclass e i soliti convegni sullo stato della fiction italiana, un incontro interessante è stato probabilmente quello sulla crossmedialità, che però ho potuto seguire solo nella parte finale durante la presentazione del progetto documentaristico Giallo a Milano.

Giallo a Milano nasce come un viaggio nella Chinatown del capoluogo lombardo, attraverso i volti, le vite e le storie raccontate in prima persona da chi, in quella parte di città ha portato i propri sogni, ideali, paure e le innumerevoli difficoltà di integrazione che a volte esplodono in quegli scontri che contribuiscono a colorare l’immagine distorta regalata dalla disinformazione mediatica.
Giallo a Milano è uno sguardo schietto di un regista italiano, Sergio Basso, che parla la lingua dei suoi interlocutori e che è in grado di restituire la complessità di un universo enigmatico e dalle mille sfaccettature non solo attraverso il racconto filmico, ma anche attraverso l’integrazione della drammaturgia innovativa di una piattaforma crossmediale ospitata dal Corriere della Sera.

Una sorta di diario di bordo dalla struttura aperta, costruito in motion graphic, grafica 2D e 3D, integrato al montato originale in cui l’utente può viaggiare liberamente seguendo il proprio percorso lungo approfondimenti su temi, location, materiali d’archivio e personaggi scomodi come il collaboratore di giustizia, tradotto in animazione per esigenze di tutela dell’identità, che racconta dal di dentro la criminalità organizzata.

La piattaforma a mio avviso andrebbe affinata in alcuni aspetti relativi alla navigabilità: alcuni passaggi sono poco intuitivi (come ad esempio il ritorno alla Home) e spesso, cliccando sulle nuovle dei contenuti, si apre una pop up che copre il video. Inoltre (ma mi rendo conto che è la condizione della sua sopravvivenza) la pubblicità all’inizio di ogni videoracconto è fastidiosissima perché rallenta troppo la navigazione da una storia all’altra, spezzando l’enfasi emotiva della narrazione.

Tuttavia Giallo a Milano è un esempio interessante da sponsorizzare perché è la dimostrazione tangibile della possibilità di un’evoluzione sincrona e congiunta tra i vecchi e i nuovi linguaggi della narrazione audiovisiva.

Scoperte al Roma Fiction Fest 2010: La La Land e Spirited

Fastidiosi, imbarazzanti e stupefacenti. Sono i tre personaggi di La La Land, tutti interpretati dal creatore della serie, Marc Wootton, un omone col sorriso stampato su un viso allegro e simpatico che dispensava abbracci a tutti quelli che gli andavano incontro. E io non mi sono certo persa l’occasione di abbracciarlo per il puro piacere di rimbalzare su una star!

Un attore particolarmente egoico con la passione per i racconti noiosi che fanno ridere solo lui, un ciarlatano che vesti i panni firmati di un medium truffatore, e un incapace documentarista, lasciano l’Inghilterra per cercare fortuna a Los Angeles, La La Land.

Ma vivere su La La Land è anche un modo di raccontare le persone che, in un beato stato di inconsapevolezza, vivono un mondo tutto loro che risponde a criteri di assurdità e liceità specifici e, in questo caso, anche molto provocatori.

Un mockumentary (a metà tra la comedy e il documentario) in cui i personaggi interpretati da Wootton sono frutto della sua sconsiderata fantasia, mentre tutti gli altri sono reali e assolutamente inconsapevoli del fatto che stanno interagendo con un attore.

I tre detestabili e spiacevoli wannabe famous riescono a coinvolgere gli altri a partecipare a un circo dell’assurdo ai limiti della pazienza umana.

Oltre Borat, oltre il perbenismo inglese, La La Land ridicolizza il sogno americano mettendo alla prova la gente, tirando la corda fino al limite, all’estremo della sopportazione.
Grottesco, provocatorio e divertente, riesce a strappare più di una risata di fronte alle espressioni incredule degli inconsapevoli malcapitati. Se lo racconti non fa ridere, se lo vedi sì. Ma una volta passato l’effetto sorpresa, il meccanismo rimane sempre lo stesso e la comicità perde la sua carica nella ripetitività dello schema.

L’Australia ha ottenuto il riconoscimento per la migliore sceneggiatura con la bella storia di Spirited.
Suzy Darling è una dentista di successo che decide di punto in bianco di lasciare il marito egoista e insopportabile, portando con sé i due figli. Si trasferisce in un attico che un tempo era stato la suite di un albergo di lusso in cui anni prima…
Si ritroverà così a condividere con Henry, il fantasma di una leggendaria star del punk rock inglese degli anni Settanta, non solo l’appartamento, ma anche un’avventura di vita incontrollabile, che alterna momenti esasperanti e occasioni divertenti.
Spirited è un viaggio bizzarro e soprannaturale, ma strettamente ancorato ai sentimenti, che procede attraverso i grandi temi della vita, dell’amore e della morte.

La delusione del Roma Fiction Fest

La prima cosa che mi viene in mente se ripenso a questa settimana appena trascorsa al Roma Fiction Fest è la totale disorganizzazione e i continui disguidi che hanno reso ogni giorno di questa rassegna, nata già vecchia e stantia, sempre meno piacevole.

Scrivo tutte queste considerazioni pur avendo messo da parte ormai l’acredine nei confronti di uno staff nervoso, ansioso e restio a comunicare risposte e indicazioni perché evidentemente mal coordinato nella totale incapacità di gestire gli spazi al cinema Adriano.

Un esempio su tutti: l’orange carpet allestito all’entrata principale, durante le sfilate del vippume, impediva l’accesso alle sale.
Più di una volta ho dovuto aspettare (e insieme a me tanta gente esasperata dai continui ritardi) che attori e codazzo vario sfilassero davanti ai fotografi, mentre nelle altre sale gli spettacoli si susseguivano come da programma.
Allo stesso modo era vietato il passaggio da una sala all’altra o si era costretti a uscire per poi rientrare nella stessa identica sala, dopo aver aspettato fuori eventuali contrattempi organizzativi e aver perso nuovamente l’inizio dello spettacolo.

Per non parlare di improbabili liste vip che avevano la priorità sugli inconsapevoli accreditati, lasciati ad aspettare in fila senza risposte sulla disponibilità dei posti in sala.

Insomma, quest’anno più che mai il Roma Fiction Fest mi ha deluso non solo per la sua caotica gestione, ma anche per la scarsa offerta artistica.

L’omaggio alla ABC (a cui è stato consegnato il RFF Award for Industry Excellence), ha previsto la riproposizione di vecchi telefilm che siamo normalmente abituati a ritrovare nei palinsesti pomeridiani estivi di Italia 1 o episodi random di grandi successi di serie tv straniere in gran parte già conosciute dal grande pubblico.

Inoltre il Concorso Fiction Italiana Edita, nato anche con lo scopo di rendere possibile la visione dei nostri prodotti delle scorse stagioni agli executives stranieri, è stato totalmente ignorato dal pubblico desideroso di conoscere le novità del panorama delle fiction (internazionali e non) e ha attirato invece gran parte di quel pubblico interessato alla sfilata del vip italico di turno.

Ma anche questo fa parte di un Festival che si rispetti, ahimè!

Qui i vincitori del Roma Fiction Fest 2010!

L’orgoglio è di tutti! Non sprechiamolo

Ieri sabato 3 luglio è stato il giorno del Roma Pride.
Io non c’ero, perchè sarei andata solo per sentire della musica allegra e per assistere alla capricciosa creatività di costumi, carri, piume e pailletes.

Sì, c’è un leggero tono polemico in queste parole che si unisce, seppur per delle ragioni diverse, alla voce di tanti altri (ma non voglio entrare nel merito della questione perchè non sono sufficientemente informata dei fatti) che, come me, rivendicano a gran voce i diritti civili per chi ha semplicemente gusti sessuali differenti.

Manifestare è un diritto, un dovere, ma anche un’opportunità per dimostrare ciò che si è veramente e non fenomeni da baraccone (lo scrivo con la morte nel cuore) come purtroppo l’immaginario omosessuale continua ad essere da essi stessi rappresentato.

Amo la musica festante e i colori dell’arcobaleno, simbolo dell’armonia delle diverse sfumature di un unico grande colore, quello variopinto dell’umanità.

Ma la bandiera dei diritti civili dovrebbe smettere di sventolare sulle note degli ABBA  e di Madonna per svelare finalmente i reali volti delle diverse umanità appartenenti all’unica grande comunità civile di cui tutti facciamo parte e che è mossa, oggi più che mai, dall’urgenza della riconoscibilità attraverso le difficili conquiste sociali e politiche di tutti i giorni.

Diamo voce non alla rabbia, né tanto meno alla vacuità di spettacoli e balletti, ma alla legittima richiesta di riconoscibilità, laicità, autodeterminazione e comunicazione aperta e pacifica con le vecchie istituzioni attraverso proposte politiche concrete e strutturate.

Il rumore della rivendicazione deve essere colorato, divertente, ma il diritto va reclamato con una lotta pragmatica che affila piuttosto le armi dell’ironia come i meravigliosi manifesti del pride napoletano, estremamente più rappresentativi della comune collettività omosessuale.

Il pride è di tutti e appartiene alla comunità umana tutta, perciò io dico NO ai cartelli “Ero etero, ma sono guarita“! Perché la sessualità è una scelta emozionale e non una malattia, nè da un lato, nè dall’altro.
Si lotta insieme, nella diversità, ma uniti da un unico grande diritto, la civiltà e l‘integrazione contro l’unica grande perversione,  il clima di violenza e odio che si sta manifestando troppo spesso soprattutto nella nostra solare Capitale.

Qui i manifesti del Napoli Pride.


Created By – Hagai Levi

Il secondo incontro con Created by ci ha fatto conoscere Hagai Levi, il  creatore del tv drama israeliano Be Tipul, dal quale è stata  tratta  la serie americana  In Treatment.

La prima volta che Levi si rivolse a uno psicoterapeuta aveva 15 anni.
Poi smise e poi ricominciò.
Scoprì che il mondo interiore può essere rappresentato attraverso dialoghi e immagini minimaliste e nacque così l’idea di Be Tipul, racconti di vita che si dipanano attraverso il confronto di diversi personaggi con lo psicologo, Reuven Dagan.

Ma il terapeuta non è mai immune alle storie dei suoi pazienti.

In Be Tipul il protagonista è proprio Reuven e la parte più buia di sé che emerge dalle relazioni drammatiche coi suoi pazienti. Ciascuno di essi, infatti, è in grado di scardinare le certezze che lo hanno guidato durante gli anni della sua carriera professionale suscitando dinamiche relazionali conflittuali complesse.

Il set dressing è costituito da una casa con un grande giardino che viene spesso ripreso nelle inquadrature a significare che il mondo esterno è anche protagonista delle vicende dei pazienti. Lo studio terapeutico è al piano inferiore della casa privata di Reuven e sottolinea la profonda interferenza nella sua attività.
Reuven è sempre sul ciglio di una scogliera, in bilico tra il suo aspetto umano e quello professionale: terapeuta e paziente diventano così entrambi archetipi universali con cui confrontarci.

Ogni puntata racconta il caso di un singolo paziente attraverso 3 momenti di svolta (struttura in 3 atti):

  • il paziente porta qualcosa da fuori;
  • il terapeuta convince il paziente che ciò che egli sta raccontando non è ciò che vuole raccontare;
  • cosa può fare il paziente con queste informazioni.

Il lunedì è il giorno di  Na’ama, vittima di un transfert verso il suo terapeuta il quale ammette di ricambiare i suoi sentimenti. Il controtransfert turba profondamente Reuven.

Il martedì invece tocca a Yadir,  un pilota colpevole di aver sganciato, durante un’operazione di guerra, una bomba che fece molte vittime. Il  senso di colpa sembra non opprimerlo, ma dietro alla sua paura di volare si nascondono i complessi rapporti con un padre autoritario e una moglie infelice che lo porteranno e essere vittima di un incidente aereo. Ma il dubbio che possa essere stato un suicidio mette Reuven di fronte ai propri limiti professionali.

Mercoledì è il turno di Ayala è una ginnasta teenager, reduce da un incidente automobilistico, che forse lei stessa ha causato. La ragazza rivela diverse analogie comportamentali con la figlia di Reuven.

Il giovedì è dedicato alla terapia di coppiaMichael Orna, dopo innumerevoli tentativi di fecondazione artificiale, stanno finalmente per avere un bambino, ma qualcosa sembra essere cambiato. La loro incapacità comunicativa si rispecchia nel profondo disagio che Reuven sta vivendo nei confronti della moglie a causa di Na’ama.

Il venerdì Reuven passa dall’altra parte e dà voce ai suoi turbamenti personali di fronte alla sua terapeuta Gina.

Scrivere la puntata del venerdì, la più difficile, ha convinto Levi che la serie poteva  funzionare in televisione.

Ma si rese subito conto che tale progetto non si sarebbe mai potuto vendere sulla carta.
Decise così di auto prodursi due puntate pilota (in fondo quel tipo di riprese con solo due attori e un’unica location, prevedono un budget molto risicato).

La tv via cavo in Israele, oltre a essere interessata al prodotto, è molto e ricca e può permettersi di sperimentare. Inoltre esiste anche una normativa che li obbliga a produrre un certo numero di tv drama.
Levi fu così messo nelle condizioni per girare tutta una prima serie dedicata a un pubblico intellettuale e nottambulo.

Scelse attori israeliani,  molto rinomati e famosi (in Israele gli attori passano indistintamente dal cinema alla tv) e dalla seconda settimana Be Tipul divenne un fenomeno ottenendo ottime recensioni soprattutto per l’elevata qualità della scrittura.

Il tutto infatti si regge sulle parole: 30 minuti per 30 pagine di dialogo. Non c’è improvvisazione, ogni singola parola pronunciata è stata scritta e provata più volte.

Essendo uno stile molto realistico che ripercorre gli archetipi (molto lontano dallo stile  parodistico del cinema di Woody Allen)  il pubblico si è immedesimato talmente tanto che molti hanno intrapreso o ripresero un percorso di psicoterapia.

Lo stile registico è semplice ed essenziale e in fase di montaggio si cerca di affinare l’impatto emotivo dando  rilievo anche al linguaggio non verbale che in certi momenti riesce a restituire compassione  più di mille parole.

Levi è anche showrunner della serie ed è sempre presente sul set.
Nel suo team di scrittori c’è un headwriter con cui definisce i personaggi e le linee guida, e sceneggiatori dalla diversa formazione culturale, ma tutti rigorosamente  con esperienze di personale percorso terapeutico.

Ogni scrittore gestisce un personaggio e costruisce la puntata che lo riguarda.
La supervisione e la riscrittura è definita invece dallo stesso Levi che si concentra soprattutto su Reuven affinandone le sue peculiarità.

Naturalmente risulta necessario anche un confronto con uno psicologo professionista che apporta le informazioni utili a dare credibilità alla storia. Durante questi incontri spesso si determinano le dinamiche della terapia di gruppo per cui lo scrittore struttura, lo psicologo destruttura.

Il format è stato riproposto in diversi paesi. Il più conosciuto è senza dubbio la versione americana In Treatment con Gabriel Byrne.

Adattare le stesse storie in paesi differenti è un lavoro complesso.
Ciascuno ha la propria cultura, tradizioni e dinamiche sociali differenti che determinano disagi differenti, per cui una donna quarantenne senza figli a New York rappresenta un caso estremamente comune che suscita un imbarazzo relativo rispetto alla percezione che può averne la società israeliana.
E poi non dimentichiamoci che Israele è uno stato che deve fare i conti con una guerra che li lacera da troppo tempo.

Ogni paese ha le proprie ferite.

Quali siano quelle  italiane  potremo scoprirlo presto.
Infatti Wilder e Rai 4 stanno lavorando al format coordinato dall’ headwriter Nicola Lusuardi.

Speriamo che questo progetto possa finalmente regalare prestigio all’immaginario della fiction italiana.

I finalisti del Premio Solinas – SACT: PILOTI PER SERIE TV

Ieri sera presso Informale Loft a Roma sono stai annunciati i finalisti della prima edizione del PREMIO SOLINAS – SACT: PILOTI PER SERIE TV.

Il premio è nato lo scorso anno all’interno dei dibattiti sullo stato della fiction italiana durante il Roma Fiction Fest, con l’intento di promuovere e portare alla luce i talenti creativi che ci sono nel nostro Paese e che spesso incontrano mille difficoltà nel proporsi alle produzioni e ai broadcaster.

L’associazione Premio Solinas ha così deciso di dare una svolta e un’evoluzione al suo progetto e ha indetto su proposta della SACT il concorso per sceneggiature inedite di puntate pilota per serie televisive da 50 minuti.

Con il supporto della Fondazione Roberto Rossellini per l’Audiovisivo, Rai Fiction e RTI – Mediaset e con il patrocinio di APT (Associazione Produttori Italiani) e del Roma Fiction Fest, il premio si propone di dare una voce nuova e sperimentale alla nostra fiction e di stringere legami tra vecchi produttori e nuovi talenti della scrittura seriale.

Annamaria Granatello, direttore artistico del Premio Solinas ha annunciato le opere che concorreranno al Premio per la migliore sceneggiatura di 12.000 euro e alla Menzione Speciale di 3.000 euro:

  • DOPO LA PIOGGIA di Nello Calabrò
  • GUERRA di Menotti (Roberto Marchionni), Marco Marchionni, Lisandro Monaco.
  • L’ULTIMO GIORNO DEL RE di Valerio Attanasio, Matteo Rovere, Sydney Sibilia
  • MILANO DA BERE di Filippo Bologna, Tommaso Capolicchio, Andrea Garello, Marcello Olivieri.
  • RICOMINCIO DA CAPO di Andrea Bacci
  • SECOLO di Nicholas Di Valerio

A questa prima edizione hanno partecipato 189 progetti pervenuti in forma anonima, che sono stati valutati dai Giurati del Comitato Editoriale. Ciascuno script è stato esaminato da due giurati differenti per superare i limiti del gusto personale. Le coppie sono state unite anonimamente.
Da questa prima selezione è nata una discussione che ha portato alla rilettura dei copioni più interessanti da parte di più giurati che hanno scelto 17 progetti.
Dopo un’ultima accesa e vivace discussione sono stati scelti i suddetti 6 finalisti da una giuria composta da:

Federica Bosco, Daniele Cesarano, Claudio Corbucci, Ivan Cotroneo, Salvatore De Mola, Cristiana Farina, Annamaria Granatello, Guido Iuculano, Chiara Laudani, Nicola Lusuardi, Paola Pascolini, Francesco Piccolo, Monica Rametta, Simone Regazzoni, Alexis Sweet, Mattia Torre, Gino Ventriglia, Monica Vullo, Monica Zapelli.

Ma la giuria si è anche dovuta confrontare con un serio problema: uno dei finalisti è figlio di una dei giurati!

Per dare credibilità e serietà alla valutazione, e per non penalizzare il progetto selezionato, la giurata coinvolta ha preferito dimettersi e da ciò è nata un’ulteriore discussione.

Considerata la non sussistenza della violazione delle norme e del regolamento, alla presenza di un legale, è stata dichiarata la non esclusione del progetto imputato.

Certamente questo avvenimento attirerà a sé polemiche, critiche e tentativi di incrocio di nomi per individuare la parentela incriminata.

Al di là di tutto ciò mi auguro che questo possa essere l’inizio di una svolta verso la qualità e l’innovazione di cui le nostre serie tv hanno tanto bisogno, non solo per essere concorrenziali sul mercato internazionale, ma anche per restituire quella dignità artistica e creativa nella produzione degli audiovisivi che l’Italia sta perdendo soffocata da assurde logiche di mercato e dall’involuzione culturale di cui siamo vittime da troppo tempo ormai.

La Premiazione finale si terrà il 6 Luglio alle ore 18.00 presso l’Auditorium Conciliazione.

il 7 Luglio, invece, alle ore 10.00  presso la sala 7 del Cinema Adriano, si aprirà il dibattito su “Prove di serialità: Piloti e nuovi modelli di sviluppo editoriale”.

Ma questi sono solo alcuni degli appuntamentiche ci riserva il Fiction Fest.

Stay tuned!

Qui la  CARTELLA STAMPA FINALISTI.

Created By – Incontro con Toby Whithouse

Anche quest’anno la SACT (Scrittori Associati di cinema e Televisione), in prossimità dell’inaugurazione del Roma Fiction Fest ha dato il via a Created by, un progetto di incontri e confronti con importanti autori stranieri di serie televisive.

Quest’anno la Casa del Cinema non ha potuto mettere a disposizione i suoi comodi e funzionali spazi per delle ragioni che io ignoro e che suppongo essere dovute alle proposte dell’amministrazione comunale di una trasformazione d’uso della struttura.

Il convegno si è spostato perciò, presso la sala del cinema dell’ANICA che ha accolto il primo ospite Toby Whithouse, creatore della serie Being Human, in onda sulla BBC Three e che ha conquistato nel 2009 il Writers’ Guild Award come migliore serie drammatica.

La serie giunta alla sua terza stagione, racconta la storia di 3 giovani ventenni che condividono un appartamento a Bristol come tanti altri ragazzi della loro età tranne che per una sostanziale differenza: sono un vampiro ultracentenario, un licantropo e un fantasma!
Sono “persone diverse” che aspirano, come suggerisce il titolo, a essere umani, a confondersi nel mondo con le loro normali storie. Personaggi inquietanti e misteriosi che si confondono nei labili confini del Bene e del Male trascinano i nostri eroi in un cammino oscuro costellato di scontri, scelte delicate e dolorose prove d’amore in cui ciascuno dovrà fare i conti con il proprio passato.

L’autore ha scelto di presentarci la quinta puntata della prima serie ricca di gran parte degli elementi fondanti dell’intreccio in cui si fondono drama, horror, fantasy e comedy esattamente come lo è la vita reale in cui si alternano sorprese e svolte ciascuna col proprio bagaglio drammaturgico.

In Being Human però i momenti comedy rasentano il ridicolo e disturbano la tensione emotiva piuttosto che completarla. Per stessa ammissione di Withuose, infatti, la prima versione dello script aveva la forma di sit-com, ma fu rivista perché la trama risultava troppo esile e mancava di carica emotiva, così come i personaggi troppo assimilati alla società. Tale residuo, a mio avviso, è ancora percepibile, ma mi riservo di contenere il giudizio avendone visto solo un episodio.
Mettersi nel mood di un film americano indipendente low budget, ha raccontato Withouse, gli ha permesso di dare vita a una struttura più forte e credibile e solo nel momento in cui si convinse che la serie non si sarebbe più fatta, si sentì libero di trovare la propria voce.
Il consiglio che ha regalato agli aspiranti sceneggiatori in sala è stato: scrivete come se il vostro script fosse destinato a un fallimento!

E fu così che la BBC rispose positivamente dirottandolo però verso il pubblico della BBC Three.
Il pilot riscosse molto successo e fu supportato dalle numerose mail di fan che tuttora continuano a proporre spunti e suggerimenti. Ma spesso le voci dei fan sono contraddittorie e questa è una delle ragioni per cui Withouse continua a scrivere seguendo le proprie idee.

E da ex attore l’ attenzione e la cura dei personaggi rimane comunque una priorità e un punto di partenza per l’evoluzione della trama.

Being Human contiene tutti gli ingredienti accattivanti per la succulenta fetta di pubblico dai 16 ai 25 anni, per quanto, Withouse si premura di sottolineare di non aver scritto pensando a un target specifico, ma di aver messo in scena ciò che egli stesso avrebbe voluto vedere.

Being Human è andato in onda in Italia sullo spazio SciFi di Steel che lo riproporrà dal prossimo agosto.

Negli Stati Uniti verrà prodotta una versione della serie di almeno 13 episodi che andrà in onda su Syfy.

UPDATE: Per chi volesse avere un’idea degli script originali la BBC mette a disposizione alcuni episodi nella sua Writersroom.

Forum della Comunicazione – Il web continua a spaventare

Come una nuvola che cambia rapidamente, tentare di affrontare le mutazioni del variopinto universo della comunicazione, può avere diverse sfaccettature.

Al Forum della Comunicazione di Roma manager, giornalisti e imprenditori hanno dato luogo a discorsi, prevalentemente a senso unico, in cui, chi più chi meno, ha promosso le proprie manovre aziendali inserendole in autorevoli scenari innovativi.

Parlare di interazione senza fare interazione risulta alquanto paradossale, ma questo forum ha dimostrato che è possibile: tanti piccoli monologhi, diversi anche interessanti, sui cambiamenti del modo di fare informazione e il ruolo che i nuovi media hanno nella creazione del rapporto di fiducia con gli utenti.

Un salotto cattedratico e “polveroso” concentrato più che altro sulla scoperta del valore relazionale della rete, della sua accezione di strumento atto a comunicare a molti secondo standard spazio temporali abbreviati.

Ma la reale trasformazione e la portata rivoluzionaria sta nella creazione orizzontale, autonoma e indipendente dell’informazione, col suo carattere di multidirezionalità e col suo spazio pubblico, il web, facilmente (seppur non sempre) accessibile, dove il confronto, lo scambio e il dissenso trovano la loro voce e la loro natura propositiva nelle mobilitazioni dal basso.
I cittadini diventano reporter, conquistando una ancora troppo piccola affermazione sociale e collettiva.

Etica e fiducia pertanto diventano valori centrali in questo passaggio da un potere editoriale chiuso a una forza aperta e condivisa. Una percentuale altissima delle informazioni infatti provengono da blog, social network e giornalismo partecipativo che disorienta e intimorisce coloro che finora hanno vestito di autorevolezza il loro potere di gestione delle informazioni, siano esse di natura giornalistica che di natura prettamente commerciale e di business.

Il web continua ancora a spaventare e tale timore si confonde nella visione di una Rete caotica e indisciplinata, la cui verifica dei contenuti viene disposta non come equivalenza di trasparenza, ma come forma di controllo e, in casi estremi come il nostro Paese, di tentativi di censura.

Oggi in Italia, e questo è emerso chiaramente, si ritiene che l’informazione di qualità provenga solo dai giornalisti che garantiscono notizie attendibili e controllate. E ciò avrebbe una sua plausibilità se ci fosse lo spazio anche per l’informazione divergente in un dibattito e un confronto continuo.

Gli “autorevoli controllori” delle notizie continuano a muovere le solite critiche verso il nostro Paese disegnato come passivo, arlecchino e autoassolvente, in cui nessuno si prende le proprie responsabilità, ma tali critiche continueranno ad avere una possibile presa finché non si darà voce a tutte le opinioni attraverso un lessico del confronto.

Forse la Rete stessa non ha ancora trovato un suo linguaggio credibile e fidato ed è costretta ancora a fare la voce grossa confondendosi nella lotta piuttosto che distinguendosi nel confronto.
Ma come si può farlo in un paese refrattario all’innovazione e ostile al cambiamento?

E in una sala schermatissima e priva di ogni possibilità di connessione, un’inedita Tag Cloud live ritrasmetteva in loop sempre i soliti pochi tweet della sala stampa dell’Auditorium, privilegiata dall’accesso alla rete.
Previa iscrizione alla rete wifi della provincia!

Questo è il ritratto del paese reale con il quale dobbiamo confrontarci tutti i giorni e verso il quale abbiamo il dovere di raccontarne le sue sfaccettature fino a quando avremo gli strumenti per poterlo fare.


Roma Fiction Fest – Conferenza stampa

Venerdì 11 in una sala dal clima equatoriale di un albergo romano, tra una platea maleducata e chiacchierona si è svolta la Conferenza Stampa della quarta edizione del Roma Fiction Fest.

Insieme alla Fondazione Roberto Rossellini, che trova la sua mission nel fornire servizi alle imprese del cinema e dell’audiovisivo, all’APT (Associazione Produttori Televisivi), al sostegno della Camera di Commercio che si propone di creare le condizioni di crescita economica del nostro paese, alla direzione di Anthony Root per la sezione Industry e con la direzione artistica di Steve Della Casa, questa edizione promette di presentare piccoli ma profondi cambiamenti nella direzione di qualità e internazionalizzazione.

Quest’anno infatti si è scelto di scegliere un numero ridotto di opere per favorire una selezione più accurata, senza snaturare la natura nazional popolare di un festival che promuove prodotti televisivi destinati al grande pubblico.
Ma la rassegna ha anche un’anima prettamente commerciale che è quella riservata all’Industry e al Buisness.

Presso la Sala Tesi della LUMSA si svolgerà Industry Week che vedrà alternarsi:

  • RomaTvScreenings durante i quali gli executives stranieri potranno visionare i nostri prodotti italiani già editi e inserirli nei loro palinsesti,
  • i RomaTvPitching durante i quali invece verranno visionati progetti in via di sviluppo al fine di dare il via a eventuali coproduzioni e partnership,
  • la sezione Doing Business with… in cui gli executive stranieri e italiani possono condividere informazioni sui mercati di ciascun paese alla scoperta di possibili sinergie.

Proprio per valorizzare i mercati che si sono distinti nella produzione di prodotti audiovisivi d’eccellenza, è nato il Premio RomaFictionFest Award for Industry Excellence che quest’anno sarà consegnato agli Abc Studios, che hanno promosso le cult series che noi in Italia ben conosciamo da Lost a Grey’s Anatomy passando per Desperate Housewives.

Anche l’Italia riceverà il suo Premio Speciale RomaFictionFest per l’impegno produttivo nella persona di Claudia Mori che con la sua casa di produzione, Ciao Ragazzi, è stata tra i protagonisti del festival sin dal primo anno.

Il Concorso Internazionale in questa edizione prevede solo tre tipologie di premiazione: Tv Drama, Tv Comedy, Tv Factual.

Ma il Fiction Fest è ricco anche e soprattutto per i suoi eventi speciali, come le Masterclass e i Convegni, le Retrospettive come quella dedicata al giallo in bianco e nero, o l’ampia sezione dedicata alla musica alle grandi biografie di artisti che hanno segnano la storia della musica mondiale.

Sono previste tre importanti anteprime italiane:

  • Il sorteggio, che narra le vicende del primo processo sulle Brigate Rosse
  • Le ragazze dello Swing, che racconta la storia del Trio Lescano,
  • Il Peccato e la Vergogna, con Gabriel Garko e Manuela Arcuri.

Per le serie tv americane ci sarà l’anteprima del pilot di un nuovo procedural drama, Body Of Proof, diretto da Nelson McCormick e scritto da Christopher Murphey.

Ma ci saranno anche altre anteprime internazionali tra cui, per la prima volta, una produzione cinese che tocca le delicate tematiche familiari.

Le sedi del Festival sono come l’anno scorso, la Multisala Adriano, l’Auditorium Conciliazione e le Sale della Lumsa per la settimana dell’Industry.

Una delle novità di quest’anno è il Villaggio della Fiction, allestito sotto Castel Sant’Angelo dove si avrà la possibilità di viaggiare all’interno di tutti i processi di lavorazione di un set, dalla recitazione al trucco, dai provini con You Casting al doppiaggio e al montaggio.

C’è anche uno spazio per bambini, il RomaBabyFest, che potranno incontrare il mondo della fiction attraverso i giochi e i laboratori di Explora (Il Museo dei bambini di Roma).

Mini troupe universitarie si aggireranno nei luoghi del festival per la realizzazione dei loro reportage.

Un’entusiasta Veronica Pivetti, madrina del festival, dopo aver ripercorso le tappe più importanti della sua carriera nella fiction italiana, ha espresso la sua opinione sul triste momento di censura che sta vivendol’Italia che, imbavagliando l’informazione, nasconde realtà difficili e perverse del nostro paese che spesso diventano lo spunto per la nascita di fiction e docufiction importanti di inchiesta, che rappresentano anch’esse un patrimonio importante per il diritto all’informazione del nostro paese.

Anche quest’anno il Fiction Fest collabora col Blindsight Project garantendo proiezioni sottotitolate e con audiodescrizione.

Il momento V.I.P. della conferenza ha visto il rapper e attore di NCIS Los Angeles, LL Cool J, il quale, col suo discorso, non ha aggiunto nulla di più a quanto fosse stato già detto e che potesse interessare il pubblico presente.

Questo è il ricordo che ho del suddetto di quando ero giovane adolescente innamorata.

E preferisco decisamente questo, ma solo per quel nostalgico senso di protezione dei ricordi.