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Exploring is Beautiful
Quando le immagini regalano suggestioni le idee diventano realtà.
Ferruccio Spinetti e Petra Magoni
Quando arriva l’estate, seppur calda e opprimente, il mio Amore per Roma si rinnova e si compiace degli spazi aperti che ospitano concerti e manifestazioni refrigeranti che ti riappacificano con le giornate spesso umoralmente condizionate dall’afa.
Ieri sera attorno al laghetto di Villa Ada centinaia e centinaia di persone si sono riunite per ascoltare la Musica Nuda di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti.
Una schizofrenia melodica che danza su un’armonia a tratti incalzante a tratti mansueta e che spoglia la musica, tirandone fuori l’essenzialità delle sonorità per poi rivestirle coi virtuosismi vocali di Petra Magoni.
E il testo si riappropria di vigore e del suo significato intrinseco e accattivante e rivive nel contrasto tra la voce morbida e acuta e il suono grave e deciso del contrabbasso.
Ferruccio Spinetti detta le pause, circoscrive gli spazi in cui volteggia libera Petra Magoni, per poi riacchiapparla quando la voce tenta la fuga. E la riporta nei confini di un quadro armonico e sublime. C’è una speciale intesa tra i due che restituisce un ascolto garbato e avvolgente.
Petra Magoni ci ha fatto conoscere anche un’artista inglese che vive a Roma e si chiama Sylvie Lewis che ha scritto alcune canzoni che saranno inserite nel loro prossimi album. Secondo me, merita di essere ascoltata.
I vincitori del Premio Solinas – SACT: PILOTI PER SERIE TV
Durante il Roma Fiction Fest sono stati annunciati i vincitori del primo concorso Premio Solinas – SACT: PILOTI PER SERIE TV.
Diverse polemiche si sono avvicendate attorno all’organizzazione di questa prima edizione.
Il primo Premio di 12.000 euro per la migliore sceneggiatura è andato ex-aequo a:
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SECOLO di Nicholas Valerio (Salinoch);
Sinossi
Nell’Italia del Sud, piena di sole, sangue e nazisti, muore la vecchia Saturnina, un po’ matta, un po’ strega, madre di Gaspare, un figlio grosso quanto tardo, e matrigna di Melania, una giovane e scafata ragazzina della strada. E sulla strada si ritrovano entrambi, in fuga da cose più nere e temibili delle SS. Di sole ce n’è meno a Verquieres, paesello della Francia collaborazionista: il vecchio Morel, ambiguo e losco pretaccio, va a caccia di Dio e del demonio assieme a Laurent, giovane parroco dal cuore fiero.
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MILANO DA BERE di Filippo Bologna, Tommaso Capolicchio, Andrea Garello e Marcello Olivieri.
Sinossi
Milano, dicembre 1984. Un anziano, potente pubblicitario, una cinica fotografa di moda, un giovane faccendiere politico e un dj male in arnese. Nella lunga notte della Milano da bere le loro vite a una svolta. Poi, uno schianto all’alba. La morte del vecchio patriarca. La scoperta che i tre giovani sono i suoi figli. Quando già si profila una lotta per l’eredità, una nuova, inaspettata rivelazione cambia le regole del gioco. Milano da bere, un affresco spietato e iperrealista sul decennio che ha cambiato la storia del nostro paese.
Una menzione speciale di 3.000 euro è stata consegnata a
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DOPO LA PIOGGIA di Nello Calabrò.
Sinossi
Una disastrosa alluvione ha colpito un piccolo paese; gli scampati sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e a vivere in un grande albergo in attesa di un ritorno alla normalità che tarda ad arrivare. Seguiamo le loro vicissitudini attraverso lo sguardo stupito e incantato di una bambina e di un anziano che ha perso il figlio nella tragedia, ma non a causa dell’alluvione …
Le motivazioni della scelta le potete trovare qui.
Come già ho avuto modo di raccontare uno dei finalisti è figlio di una giurata che poi ha preferito dimettersi per fare sì che il figlio venisse giudicato obiettivamente, superando così la violazione delle norme e del regolamento.
E tutti i finalisti sono sceneggiatori professionisti!
La competizione, a mio avviso, non è stata esattamente equilibrata!
E’ risaputo che per lavorare come sceneggiatore, almeno in Italia, oltre a talento, intraprendenza e caparbietà, sono necessari i giusti contatti.
C’è chi è riuscito a costruirne diversi perché si è saputo muovere nell’ambiente e c’è chi, invece, gli ha ereditati dalla famiglia. La possibilità di conoscenze dirette con produttori e broadcaster per tali fortunati è decisamente più agevole rispetto a chi invece deve faticare per avere semplicemente la possibilità di essere letto.
Per tale ragione ritengo che sia alquanto inopportuno che professionisti o figli di professionisti, partecipino a tali concorsi e lascino lo spazio a chi, invece, occasioni di contatto diretto ancora non ne ha avute.
Le motivazioni che hanno spinto la SACT a promuovere la scoperta e a sostenere nuove idee per una rivalutazione della produzione di fiction italiana, sono meritevoli e necessitano di sostegno e promozione. Ma le forme di tale inn0vazione non dovrebbero passare attraverso un concorso di sceneggiature per Piloti tv che, a mio avviso, dovrebbe essere invece uno spazio democratico per chi normalmente un accesso ai produttori non ce l’ha. Mi riferisco a tutti quegli sceneggiatori non professionisti i cui progetti, spesso e volentieri, se non opportunamente segnalati, vengono cestinati senza neanche essere letti.
E’ altresì necessario che la SACT e tutte le associazioni di autori incentivino la promozione di nuove idee e linguaggi televisivi anche per i professionisti la cui consapevolezza artistica viene spesso limitata dalle linee editoriali di reti televisive convenzionali e statiche.
Esistono forme di protesta unitaria (basti pensare allo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood di qualche anno fa) o strategie propositive quali l’organizzazione di pitch stagionali o collaborazioni dalle diverse tipologie con i broadcaster, ad esempio brain storming strutturati o realizzazione di pitch visivi o piccoli promo low budget… affinché si possa dare finalmente una voce concreta alle ambizioni artistiche non solo di chi le idee è in grado di realizzarle, ma anche di una fascia molto ampia di pubblico che non ne può più di storie di papi, santi ed eroi soffocati dai buoni sentimenti!
Un piccolo capolavoro al Roma Fiction Fest: Treme
David Simon è sceneggiatore di The Wire, racconto critico e pessimista sulla dura realtà della metropoli americana di Baltimora i cui protagonisti, si intrecciano con la ferocia criminale, il traffico di droga e la corruzione dilagante.
David Simon preferisce le narrazioni crude, realistiche e corali, esattamente come fa in Treme, serie tv che prende il nome dal quartiere di New Orleans che ha ospitato i più grandi jazzisti della città.
Tra il 29 e il 31 agosto 2005, l’uragano Katrina, fenomeno atmosferico largamente sottovalutato, sfondò gli argini risaputamente deboli e insufficienti del Mississipi, sommergendo buona parte della città.
Treme racconta la vita di coloro che hanno deciso di non lasciare la città allo sfacelo e all’ abbandono a cui la condannò l’amministrazione Bush, incapace di correre in soccorso dei suoi cittadini nella gestione della catastrofe provocata dall’uragano.
Ognuno, a modo suo, cerca una ragione per andare avanti nel post-Katrina.
Creighton Bernette, scrittore benestante, intepretato dall’ingombrante (sia nella mole che nella veemenza con cui rivendica i diritti della sua gente) John Goodman, esprime apertamente e con foga davanti alle telecamere tutta la sua rabbia contro le istituzioni assenti.
La moglie di Cray, Toni, avvocato, cerca di portare a suo modo un po’ di giustizia tra i sopravvissuti; Ladonna proprietaria di un bar nel cuore di New Orleans, è determinata a ritrovare il fratello, prima detenuto e poi disperso dell’O.P.P. (Orleans Parish Prison). Ma deve scontrarsi con la burocrazia e l’omertà dei vertici dell’O.P.P. che decise di tenere rinchiusi i detenuti durante l’uragano.
E poi c’è la cuoca Janette che lotta per mantenere il suo ristorante o Davis che intraprende la sua lotta politica a suon di rime musicali.
La gente ha voglia di riprendersi, la propria vita, la propria musica, le proprie tradizioni. Come i festeggiamenti del carnevale, con le parate degli Indiani pellerossa del Mardi Gras, il cui capo Big Chief si ribella al governo che blocca il piano di ricostruzione delle case agibili, occupando il suo vecchio bar.
Ognuno, insomma, esprime il proprio dissenso: chi suonando, chi mantenendo aperta la propria attività, ciascuno sfoderando il sublime talento della sussistenza, senza rinunciare ai propri sogni e ai propri diritti nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Destino comune che li riunisce nel trionfo di colori e musica dei festeggiamenti del Carnevale.
Giallo a Milano: un esperimento innovativo al Roma Fiction Fest
Tra le varie masterclass e i soliti convegni sullo stato della fiction italiana, un incontro interessante è stato probabilmente quello sulla crossmedialità, che però ho potuto seguire solo nella parte finale durante la presentazione del progetto documentaristico Giallo a Milano.
Giallo a Milano nasce come un viaggio nella Chinatown del capoluogo lombardo, attraverso i volti, le vite e le storie raccontate in prima persona da chi, in quella parte di città ha portato i propri sogni, ideali, paure e le innumerevoli difficoltà di integrazione che a volte esplodono in quegli scontri che contribuiscono a colorare l’immagine distorta regalata dalla disinformazione mediatica.
Giallo a Milano è uno sguardo schietto di un regista italiano, Sergio Basso, che parla la lingua dei suoi interlocutori e che è in grado di restituire la complessità di un universo enigmatico e dalle mille sfaccettature non solo attraverso il racconto filmico, ma anche attraverso l’integrazione della drammaturgia innovativa di una piattaforma crossmediale ospitata dal Corriere della Sera.
Una sorta di diario di bordo dalla struttura aperta, costruito in motion graphic, grafica 2D e 3D, integrato al montato originale in cui l’utente può viaggiare liberamente seguendo il proprio percorso lungo approfondimenti su temi, location, materiali d’archivio e personaggi scomodi come il collaboratore di giustizia, tradotto in animazione per esigenze di tutela dell’identità, che racconta dal di dentro la criminalità organizzata.
La piattaforma a mio avviso andrebbe affinata in alcuni aspetti relativi alla navigabilità: alcuni passaggi sono poco intuitivi (come ad esempio il ritorno alla Home) e spesso, cliccando sulle nuovle dei contenuti, si apre una pop up che copre il video. Inoltre (ma mi rendo conto che è la condizione della sua sopravvivenza) la pubblicità all’inizio di ogni videoracconto è fastidiosissima perché rallenta troppo la navigazione da una storia all’altra, spezzando l’enfasi emotiva della narrazione.
Tuttavia Giallo a Milano è un esempio interessante da sponsorizzare perché è la dimostrazione tangibile della possibilità di un’evoluzione sincrona e congiunta tra i vecchi e i nuovi linguaggi della narrazione audiovisiva.
Scoperte al Roma Fiction Fest 2010: La La Land e Spirited
Fastidiosi, imbarazzanti e stupefacenti. Sono i tre personaggi di La La Land, tutti interpretati dal creatore della serie, Marc Wootton, un omone col sorriso stampato su un viso allegro e simpatico che dispensava abbracci a tutti quelli che gli andavano incontro. E io non mi sono certo persa l’occasione di abbracciarlo per il puro piacere di rimbalzare su una star!
Un attore particolarmente egoico con la passione per i racconti noiosi che fanno ridere solo lui, un ciarlatano che vesti i panni firmati di un medium truffatore, e un incapace documentarista, lasciano l’Inghilterra per cercare fortuna a Los Angeles, La La Land.
Ma vivere su La La Land è anche un modo di raccontare le persone che, in un beato stato di inconsapevolezza, vivono un mondo tutto loro che risponde a criteri di assurdità e liceità specifici e, in questo caso, anche molto provocatori.
Un mockumentary (a metà tra la comedy e il documentario) in cui i personaggi interpretati da Wootton sono frutto della sua sconsiderata fantasia, mentre tutti gli altri sono reali e assolutamente inconsapevoli del fatto che stanno interagendo con un attore.
I tre detestabili e spiacevoli wannabe famous riescono a coinvolgere gli altri a partecipare a un circo dell’assurdo ai limiti della pazienza umana.
Oltre Borat, oltre il perbenismo inglese, La La Land ridicolizza il sogno americano mettendo alla prova la gente, tirando la corda fino al limite, all’estremo della sopportazione.
Grottesco, provocatorio e divertente, riesce a strappare più di una risata di fronte alle espressioni incredule degli inconsapevoli malcapitati. Se lo racconti non fa ridere, se lo vedi sì. Ma una volta passato l’effetto sorpresa, il meccanismo rimane sempre lo stesso e la comicità perde la sua carica nella ripetitività dello schema.
L’Australia ha ottenuto il riconoscimento per la migliore sceneggiatura con la bella storia di Spirited.
Suzy Darling è una dentista di successo che decide di punto in bianco di lasciare il marito egoista e insopportabile, portando con sé i due figli. Si trasferisce in un attico che un tempo era stato la suite di un albergo di lusso in cui anni prima…
Si ritroverà così a condividere con Henry, il fantasma di una leggendaria star del punk rock inglese degli anni Settanta, non solo l’appartamento, ma anche un’avventura di vita incontrollabile, che alterna momenti esasperanti e occasioni divertenti.
Spirited è un viaggio bizzarro e soprannaturale, ma strettamente ancorato ai sentimenti, che procede attraverso i grandi temi della vita, dell’amore e della morte.
La delusione del Roma Fiction Fest
La prima cosa che mi viene in mente se ripenso a questa settimana appena trascorsa al Roma Fiction Fest è la totale disorganizzazione e i continui disguidi che hanno reso ogni giorno di questa rassegna, nata già vecchia e stantia, sempre meno piacevole.
Scrivo tutte queste considerazioni pur avendo messo da parte ormai l’acredine nei confronti di uno staff nervoso, ansioso e restio a comunicare risposte e indicazioni perché evidentemente mal coordinato nella totale incapacità di gestire gli spazi al cinema Adriano.
Un esempio su tutti: l’orange carpet allestito all’entrata principale, durante le sfilate del vippume, impediva l’accesso alle sale.
Più di una volta ho dovuto aspettare (e insieme a me tanta gente esasperata dai continui ritardi) che attori e codazzo vario sfilassero davanti ai fotografi, mentre nelle altre sale gli spettacoli si susseguivano come da programma.
Allo stesso modo era vietato il passaggio da una sala all’altra o si era costretti a uscire per poi rientrare nella stessa identica sala, dopo aver aspettato fuori eventuali contrattempi organizzativi e aver perso nuovamente l’inizio dello spettacolo.
Per non parlare di improbabili liste vip che avevano la priorità sugli inconsapevoli accreditati, lasciati ad aspettare in fila senza risposte sulla disponibilità dei posti in sala.
Insomma, quest’anno più che mai il Roma Fiction Fest mi ha deluso non solo per la sua caotica gestione, ma anche per la scarsa offerta artistica.
L’omaggio alla ABC (a cui è stato consegnato il RFF Award for Industry Excellence), ha previsto la riproposizione di vecchi telefilm che siamo normalmente abituati a ritrovare nei palinsesti pomeridiani estivi di Italia 1 o episodi random di grandi successi di serie tv straniere in gran parte già conosciute dal grande pubblico.
Inoltre il Concorso Fiction Italiana Edita, nato anche con lo scopo di rendere possibile la visione dei nostri prodotti delle scorse stagioni agli executives stranieri, è stato totalmente ignorato dal pubblico desideroso di conoscere le novità del panorama delle fiction (internazionali e non) e ha attirato invece gran parte di quel pubblico interessato alla sfilata del vip italico di turno.
Ma anche questo fa parte di un Festival che si rispetti, ahimè!
Qui i vincitori del Roma Fiction Fest 2010!
Non vi è peggior schiavitù di quella che s’ignora. (Ignazio Silone)
La doggy bag e le microrivoluzioni che cambiano il mondo
In Italia la doggy bag non è in linea con le regole del bon ton.
Chi chiede al ristorante di poter portare a casa gli avanzi della propria cena viene considerato non solo cafone, ma pure morto di fame (e anche se lo fosse tale diritto sarebbe ancor più giustificato!).
Io credo che la doggy bag sia un gesto di civiltà, educazione e amore per la nostra Terra che tutti i giorni oltraggiamo attraverso comportamenti aggressivi e irrispettosi.
Portarsi a casa gli avanzi di una cena al ristorante vuol dire riutilizzare queste risorse per un altro pasto e sbizzarrirsi inventando ricette nuove riciclando pasta, pizza, spezzatini di carne e tutto ciò che non si è riusciti a mangiare la sera prima. Esattamente come avremmo fatto se avessimo cenato a casa.
Senza sperpero di denaro e alla faccia del vero comportamento scandaloso: l’incuranza nei confronti dello spreco alimentare che nel mondo industrializzato raggiunge il 30% del cibo acquistato.
A prescindere dalla crisi economica che ci sta strozzando negli ultimi anni, dedicare un po’ di tempo all’amorevole arte del risparmio significa amare di più non solo la nostra Terra che ci ospita, ma anche noi stessi, le nostre famiglie e le generazioni future.
Chiudere il rubinetto mentre ci si strofina i denti, riutilizzare l’acqua del bucato come sciacquone del water, scrivere su entrambi i lati di un foglio di carta, comprare prodotti alimentari di stagione, convertirsi alla spesa alla spina (sarà il mio prossimo obiettivo)… sono queste le microrivoluzioni che possono realmente cambiare il mondo.
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