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DONAURADWEG: un giro libero lungo il Danubio

donauradweg.JPEGSenza neanche pensarci due volte, io e la mia dolce metà ci siamo buttati in una avventura estrema, ai limiti delle nostre capacità fisiche!!! Non siamo esattamente due tipi da palestra, nè tantomeno amanti della fatica fine a se stessa e gongoliamo, senza troppi rimorsi, tra le delizie gastronomiche. Tuttavia, sprezzanti dei commenti sfiduciati dei nostri amici, siamo partiti!

Tra crampi al fondoschiena e imprecazioni contro l’acido lattico, siamo arrivati fino alla fine del nostro viaggio, soddisfatti e felici, a dimostrazione che l’entusiasmo e un po’ di incoscienza spesso spostano in avanti i propri limiti… anche mentali…
Nessun bunging jumping o pseudo trekking tra le dune, ma una suggestiva pedalata di quasi 300 km sulle rive del Danubio. Da Passau, la città dei tre fiumi (nella mia amata Germania) a Vienna, sulla pista ciclabile (pianeggiante!!!) più famosa al mondo: la Donauradweg!
In 7 tappe, dormendo nelle caratteristiche Gasthöfe a conduzione familiare, abbiamo pedalato attraverso gli scenari più disparati: foreste dalla vegetazione alta e avvolgente (e abitata da un numero spropositato di moscerini che ci hanno costretto al silenzio durante la pedalata!), campi di pannocchie, distese di girasoli, frutteti e i ricchi vigneti della Wachau.
Abbiamo incontrato gente di ogni tipo, anziani in mutande che suonavano il violino lungo la
riva del fiume, pescatori sonnecchianti, contadini sorridenti e una quantità di ciclisti esperti: sessantenni, ragazzi di tutte le età, famigliole, bambini… ci hanno superato tutti!!!
Una volta però siamo riusciti a farci guardare la schiena da due ottantenni sulla Graziella!!!
Ho imparato i meccanismi delle dighe e delle chiuse attraversando le innumerevoli centrali idroelettriche che si incontrano lungo il Danubio.
E poi un susseguirsi di cittadine, castelli leggendari, villaggi e fattorie.
Abbiamo respirato aria di spiritualità, ma anche di sfarzo e sontuosità nei monasteri trappisti, nelle abbazie, nelle chiese barocche. Ma lo splendore massimo lo abbiamo ritrovato a Melk, il cui maestoso monastero, arroccato su una roccia altissima, sovrasta la valle sottostante (Adso da Melk vi ricorda qualcosa?).
In uno scenario a volte quasi irreale per l’ordine e l’accuratezza, in un tempo sospeso tra un passato genuino e la modernità delle strutture d’accoglienza, abbiamo pedalato senza un minimo accenno al pentimento, deridendoci per la nostra incompetenza e incoraggiandoci nei momenti di stanchezza e di fame nera.
E a tal proposito non ci siamo certo lasciati sfuggire i ristoranti dalla cucina tipica locale e le squisite bäckerai: banconi traboccanti di pane di ogni tipo e prodotti da forno a base di
sfoglia, cannella, mandorle e noci (primo tra tutti il mio prediletto Nußschnecken, ricordo del mio Erasmus tedesco!)
Diciamo la verità: ci siamo sfondati di quantità spropositate di cibo teutonico: Wurst, Knödel, Suppen di ogni sorta, Gulasch e il ricercatissimo dolce Kaiserschmarren, una sorta di megacrêpe accompagnata da kompott, crema di mele e cannella!
“Tanto, poi, pedaliamo e smaltiamo!” è stato lo slogan che ci ripetevamo davanti a quei trionfi di grassi e calorie. Sono ingrassata di due chili, ma magari è il peso dei muscoli che si è sostituito al grasso… mi piace pensare così…
Dopo aver visto Linz, Melk, Krems, la bellissima Dürnstein (famosa per i prodotti a base di albicocca), siamo finalmente giunti a Vienna, che abbiamo visitato poco a causa della mia
emicrania che ci ha costretto a ritornare in albergo nel pomeriggio, sigh :(((
(piccola digressione di servizio: a riguardo si accettano suggerimenti di ogni tipo, dalle macumbe ai triptani, dai rimedi della nonna ai riti voodoo….).
Nonostante il mio malessere, è stata romantica e divertente anche la cena viennese in albergo: pane, wurstel e formaggio. Servizio in camera, gentilmente offerto dalla mia dolce metà.
L’indomani ci siamo accomiatati dalle nostre biciclette nel freddo garage dell’albergo di
Vienna. Dalla stazione abbiamo salutato la città, solo sfiorata in questa eccezionale vacanza giunta al suo punto di arrivo.
Ma, chissà… magari sarà il punto di partenza per la prossima avventura…
La Donauradweg continua fino a Budapest, passando per Bratislava.
Tuttavia alla prossima estate manca ancora un anno e nel frattempo chissà che non ci venga in mente una nuova vacanza, magari su una casa galleggiante…

P.S. Per info tecniche www.girolibero.it

FreiKörperKultur

NUDO SEDUTO  Tamara de LempickaQuesta mattina la mia colazione è stata acccompagnata dalle chiacchiere della trasmissione Omnibus estate, intitolata Veleni e Veline. E così ho ripensato al giorno in cui, togliendomi il costume nella selvaggia spiaggia di Hvar in Croazia, mi sono liberata da complessi e timori che mi portavo addosso da anni.
Quei momenti nostalgici sono stati interrotti dalle tante idiozie propinate da alcuni ospiti, prima tra tutte la rimodellata Santanchè, e da qualche spunto interessante del non amatissimo Pietrangelo Buttafuoco.
Ah, il corpo nudo… e i primi pensieri del mattino si sono rincorsi nella mia testolina.
La mentalità sessista di questa nostra società ha attribuito al concetto di nudità un significato strumentale e merceologico, con gravi conseguenze comportamentali su adolescenti e fanciulli, persino di età avanzata. Mi riferisco anche a una sorta di anoressia culturale dilagante.
Se al cospetto dell’arte il nudo è ammirazione e tensione all’ideale, nella realtà l’educazione al nudo deve restituirgli la bellezza della sua libertà, al di là dei falsi pudori e dei biechi moralismi che determinano essi stessi la perversione del messaggio originale. Riscoprire e amare se stessi vuol dire riconoscere la SACRALITA’ del proprio corpo.

FKK forever!

Burle spirituali di Nasruddin

Nasruddin

Quello che era considerato lo scemo del villaggio se ne stava seduto sopra un muretto ai bordi della strada a pescare dentro un secchio d’acqua.
Giunse nei paraggi il dotto del paese, che con aria di superbia sghignazzò:
“Razza di scemo, oggi quanti hanno abboccato?”
“Non molti, Eminenza. Voi siete il primo!”

Il mio BRIFF

Ed ecco a voi i corti che mi hanno appassionato di più: una hola gigante per El Gran Zambini e la sua originalissima potenza visiva. Per ogni bambino il proprio padre è l’eroe della famiglia. Così non è per il piccolo protagonista del corto, che si nasconde nel bagno della scuola per non farsi vedere dai suoi compagni in compagnia del papà, uomo dalla piccola statura, ma dal grande ingegno. L’uomo, infatti, attraverso una valorosa e leggendaria azione riesce a dimostrare al figlio la propria grandezza entrando nel suo mondo come un vero e proprio eroe.

Il più visionario e originale – ma ahimè nessuno se ne è accorto – è stato il belga Moment de Gloire di Hendrik Moonen in cui un uomo, in preda a un delirio di follia, attraverso un esperimento eccezionale e architettato con maniacale minuzia, tenta di afferrare un proiettile, sparato da una pistola, coi denti. E solo un attimo prima della tragica fine immagina il suo illusorio momento di gloria.

Altra scoperta piacevole è stata il giapponese NINJA NINJA di Makoto Yamaguchi in cui un adulto riesce a realizzare il sogno di un bambino attraverso il suo stesso linguaggio, quello della fantasia e dell’immaginazione.

Mi ha riportato alla mente quanto, da bimba, fosse per me labile il confine tra immaginazione e realtà e quanto la semplice immaginazione riuscisse a farmi sembrare più avventurosa la mia realtà.

(Ebbene sì, da piccola, attraverso una formula magica mutuata da un vecchio cartone giapponese, mi trasformavo in una Wonderpaolastra protagonista di innumerevoli avventure, mentre il mio clone, cioè la mia realtà, continuava la sua normale vita tra compiti e giochi). Potere evocativo del cinema!

Altro corto interessante è stato una sequenza di 5’35” dal titolo ON A WEDNESDAY NIGHT IN TOKIO di Jan Verbeek che attraverso una scena di vita comune, il treno di una metropolitana che man mano si riempie all’ora di punta, racconta l’essenza di un popolo, quello giapponese che pazientemente, senza alcuna rimostranza, lascia il posto a quello che sembra l’ultimo arrivato, finché le porte, non riescono finalmente a chiudersi. Ho provato a immaginare la stessa scena nella “vivace” metropolitana romana….

I miei complimenti vivissimi anche a TANGhi argentini di Guido Thys (Belgio) un’ imprevedibile, godibile e geniale favola moderna in cui un impiegato di un’ azienda fredda e indifferente decide di donare degli insoliti regali natalizi ai suoi colleghi agendo sulle loro inclinazioni artistiche.

Guardare le cose da diverse angolazioni è forse il primo accenno di maturità che si manifesta nell’adolescenza (che poi evolva inevitabilmente in tutti non rappresenta ahimè certezza), ma riuscire a raccontarlo con la crudezza e l’essenzialità di Hossein Martin Fateli è abilità di pochi. Nell’ottimo cortometraggio THE T-SHIRT tante parole, necessarie alla narrazione, non dicono di più di quanto non possa farlo una maglietta…vista da entrambi i lati, però.

Infine vorrei citare lo spassoso IL SUPPLENTE di Andrea Jublin (che pare stia lavorando al suo primo lungometraggio…notizia da cui non posso che trarre gioia!) Del suddetto ho avuto modo di apprezzare anche un altro corto (GRAZIE AL CIELO). Mi piace Jublin per la sua capacità di sdrammatizzare sui “pipponi” intellettualoidi tardo(molto tardo) adolescenziali con la “leggerezza della pensosità” e la “rapidità dello stile” (Calvino mi perdoni per l’accostamento linguistico!) Se poi riuscisse a perfezionare l’aspetto espressionistico delle inquadrature….ma diamogli fiducia!

 

Questo è stato come ho visto il BRIFF. E spero che anche Brindisi possa contribuire a sdoganare l’arte cortometraggio dalle perverse logiche produttive, restituendogli la sua dignità artistica.

Per queste ragioni non voglio accontentarmi e pretendo dalla prossima edizione ancora di più. Più eventi, più giorni, più film, più rassegne, più ospiti, più stampa. E non solo per amore del cinema, ma anche per amore di una città che vive la passione delle proprie tradizioni e che ha voglia di camminare al fianco dello sviluppo culturale e tecnologico. Una città solida radicata sulle proprie certezze e desiderosa di confronto. Lo abbiamo dimostrato con la solidarietà verso il popolo albanese, ma questo succedeva più di 15 anni fa e gli stessi albanesi sono ora i nostri compagni d’avventura in questo desiderio di emancipazione. Smettiamola allora di sottolineare quello che abbiamo fatto e facciamo adesso qualcosa per il nostro presente, per il nostro futuro, per chi è dovuto andare via, per chi è rimasto e per chi vuole tornare.

Nostalgia di Dio

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Attraverso i racconti di un un’età dell’oro che fu (am I in no time) in un Luogo immaginario (am I no space) i Radiodervish ci conducono nei tracciati del cuore, nel centro del mundo.
Un lungo peregrinare tra i simboli e i miti d’Oriente e Occidente oltre i confini linguistici, in una Babele di comprensione mistica e terrena.
Nel dipinto dell’umanità fatto di anime erranti ebbre d’amore, di madri dal volto di luna, di sufi anelanti all’Unità, sorridiamo alle burle di Nasruddin e in fondo al quadro scorgiamo l’Upupa che ci accompagnerà a passo di danza verso il regno del Re.
La dolcezza dell’ebbrezza d’amore, come “miele nel vino”, ci stordisce donandoci la forza del distacco nell’atavica nostalgia del Ricongiungimento.
Molte strade portano a Dio. I Radiodervish hanno scelto quella della musica perché non esiste Dio all’infuori di Dio, La ilaha ill’Allah.

 

The breach

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Un film di Billy Ray. Con Chris Cooper, Ryan Phillippe, Laura Linney, Dennis Haysbert, Kathleen Quinlan, Gary Cole, Caroline Dhavernas. Genere Thriller, colore, 111 minuti. Produzione USA 2007.

All’alba della guerra “calda” contro il terrorismo islamico (siamo nel febbraio del 2001) al giovane allievo dell’FBI Eric O’Neill viene affidato il compito di incastrare l’agente operativo Robert Hanssenn colpevole di alto tradimento contro l’America. Per vent’anni l’uomo ha venduto informazioni all’ ex Unione Sovietica con conseguenze rilevanti sull’assetto politico mondiale.

Un intrattenimento godibile grazie alle ottime prove attoriali e a una regia composta e lineare che ci accompagna con discrezione in questa spy story dalle dinamiche psicologiche che non riescono a sostenere la debole struttura portante del film.
Impassibili assistiamo agli eventi retti da una prevedibile logica di causa effetto che ci distoglie anche dall’umana curiosità sull’agire di questo antieroe, Hanssenn, che non appassiona e che non riesce neanche ad essere accattivante dall’alto della sua autorità di uomo che ha, seppur nel male, fatto la storia. Non si prova né compassione né rabbia per l’essere umano vittima delle proprie perversioni, ammantate da un integralismo cattolico tormentato che non spiega e non giustifica.
Si soffre della mancanza del punto di vista di un personaggio oscuro che non inquieta. Il suo delirio di onnipotenza, accennato in un dialogo banale, ci tange solo marginalmente.
Una suspence talmente asciutta da lasciare l’amaro in bocca su un finale, dalla risoluzione già rivelata a inizio film, che non coinvolge ma che anzi disturba oltremisura nella inutile retorica della scena finale.
The breach piace, ma non fa breccia.