L’artista, il critico e la fanciulla… sono gli ingredienti di questa pellicola variopinta che spazia dal rosa, al nero, al giallo. E nuota affannosamente nel mare dei generi, si aggrappa di tanto in tanto a scogli scivolosi e melensi e il naufragar è piuttosto noioso in questo mare di melassa artefatta. La storia, per quanto stereotipata, avrebbe potuto offrire spunti per una trama intricata, avvinghiata a suspense e colpi di scena che però latitano in tutto il film, lasciandoci accasciati in poltrona ad aspettare che accada finalmente qualcosa. E nel frattempo siamo costretti a sorbirci i pianti e le lagne della bella fanciulla, che, con gestualità da teatrante dilettante, recita sopra le righe restituendoci un’ansia sfibrante del tutto stonata con lo stile del film. E così anche l’artista fascinoso, il cui sguardo afflitto non comunica alcuna introspezione né dramma interiore ed è facile, pertanto manovrarlo. Vien da sé che il piano mefistofelico del critico, superficiale e mal presentato, arriva senza impatto emotivo e risulta, così, poco credibile. Anche perché l’artista non ci pensa due volte a vendere l’anima al diavolo calpestando con crudele cinismo l’amicizia dell’amico Claudio (il bravo e bello Flavio Parenti) il cui destino da cui l’artista rifugge, lo inseguirà nel tragico finale.
I personaggi piatti, superficiali e prevedibili, compreso il ben recitato ruolo di Lulli, dall’espressività maligna, ma a tratti melliflua e leziosa, mancano di quell’ambiguità e quelle zone d’ombra che guidano l’intreccio dei noir meglio riusciti.
Il triangolo amoroso è attraversato da una blanda perversione priva di sfaccettature, accompagnata da un ritmo incostante che si estrinseca, dopo un inizio saccente e pedante che richiama le migliori soap opera italiane (e io ne capisco qualcosa…), in situazioni prevedibili ed esasperate.
Manca la forza narrativa delle immagini, alcuni dialoghi ben costruiti (la scena del ristorante su tutte) non bastano. E ci annoiamo tra artifizi narrativi e simbologie (la collana incarnazione delle sciagure infantili della fanciulla, l’anfiteatro…) scialbe e insulse che trionfano nel finale che tenta di evocare l’intensità drammatica delle tragedie greche, ma restituisce invece un effetto grottesco e ridicolo.
Tuttavia qualcosa mi è piaciuto, la chiave di tutto il film, colui che con la sua silente e ingombrante presenza adornata da una superba mimica facciale, incarna le angosce dell’artista e lo muovono nelle sue azioni estreme: il personaggio di Righi ottimamente interpretato da Emanuele Salce.
Ma ahimè, non basta e si torna a casa con 7 euro in meno e mal spesi e con la triste consapevolezza di quanto l’arte e la bellezza siano entità relative ai giochi di potere e interessi che allontano l’arte da se stessa. Ma infondo questa riflessione col film non c’entra niente…
Archivi autore: wonderpaolastra
E io sono qui
Scene da un matrimonio…quasi
Ci sono post che hanno bisogno di tempo. E intanto, mentre si attende l’ispirazione, il tempo scorre e passano settimane prima di pubblicare il racconto di quel giorno, quello in cui SecondoMe e Wonderpaolastra passeggiavano mano nella mano lungo la riva del lago di Trevignano. Il sole era lì lì per immergersi nell’acqua, quando lui si inginocchiò davanti a lei e, estraendo una scatolina infiocchettata, disse: Mi vuoi sposare?
Lei, emozionata, rispose sorridendo: Sì!
Si abbracciarono, si baciarono. Lui le infilò l’anello, perfetto e sbrilluccicoso. Lei guardò incredula la sua mano addobbata, gli occhi luccicanti, manco fosse la principessa Sissi. Era tutto così melenso, ma così melenso che non poterono fare a meno di ridersi in faccia. Sono sempre stati una coppia allegra e ridanciana.
Sapori di Sicilia, tra realtà e finzione
Caccia al milionario!!!
Ho un lavoro precario, il mio fascino è racchiuso nel mio sorriso, direi che sono la candidata ideale per sposare un milionario. Purtroppo sono già promessa (ne parlerò ampiamente più in là…) Ma questo non mi impedisce di dare il mio contributo alla rinascita del nostro paese, nella lotta contro il precariato. Pertanto, dato che lavoro nel settore, vorrei sottoporre all’attenzione di tutti la nascita di un nuovo format, la mamma di tutti i reality: Chi vuol esser sposa di un milionario?
Donne con contratto a tempo indeterminato, LICENZIATEVI! I requisiti necessari per prendervi parte sono ahimè largamente diffusi: essere forziste, ma è sufficiente subdole e arriviste, avere un bel sorriso (la lista dei dentisti convenzionati è sul sito del partito delle libertà, già che ci siete c’è anche un’ampia sezione dedicata alla chirurgia estetica…) e se proprio avete voglia di lavorare potreste sempre improvvisarvi conduttrice e giornalista di talento.
Donne, affilate le unghie, meglio se laccate, e infoltite le ciglia, i provini stanno per cominciare!
Una troupe di operatori del cinema, rigorosamente precari, scorterà la vincitrice lungo il cammino verso l’altare e, UDITE UDITE, il filmino del matrimonio verrà proiettato alla festa del cinema di Roma, così famo contento pure Walter!
Gerarchia, una questione di punti di vista…
Dal Dizionario Garzanti della Lingua Italiana 2006:
ERRORE: l’allontanarsi dalla VERITA’, dal GIUSTO, dalla REGOLA… […] in senso morale, fallo, colpa, peccato[…] in senso giuridico mancata o imprecisa conoscenza del fatto.
REFUSO: lettera errata usata nella composizione al posto di quella giusta, errore di stampa.
A questo punto la domanda sorge spontanea: perchè i miei sono ERRORI e i suoi REFUSI????
Santo Ibuprofene, aiutami tu!
Nonostante abbia appena trascorso un bellissimo week end, nonostante ci sia un sole avvolgente e un profumo di primavera nell’aria, nonostante sia emigrata da quasi un mese e mi sia allontanata da tutti i fattori di condizionamento che potevano esserci a Roma (che so…l’iquinamento, le microonde del forno, la vicina di casa rumorosa, la carenza di lavoro, i cassetti lasciati aperti da Marco, l’amatriciana, il traffico…) il mio mal di testa si è ripalesato in tutta la sua magnificenza.
Dopo questa analisi empirica non mi resta che pensare che l’unico fattore scatenante sia dentro di me! E qui si apre il dramma esistenziale di WP.
Santo Ibuprofene, aiutami tu!
7 Margherite colorate
Una settimana fa ho messo 7 margherite vicino alla tua foto.
E’ stato bello rivedere i tuoi genitori e gioire insieme a loro pensando a te.
Ho visto la Casa della Speranza che hai lasciato in eredità agli ultimi. Gli stessi ultimi che cercavi lungo le vie di Catania, per offrire loro conforto e compassione.
E mi sento una privilegiata per aver condiviso con te le tue umane debolezze, la tua ironia e tutti i tuoi capricci che nascondevano un grande bisogno d’attenzioni e d’amore. E quando hai accettato il tuo destino, hai scoperto quanto amore ci fosse attorno a te. E tu non sai quanto ce ne hai restituito!
E mi piace ricordarti quando ti arrabbiavi e tenevi il muso e poi ci ripensavi, ci ingozzavamo di waffeln alla nutella e ridevamo ballando nella tua piccola stanza di Freiburg sotto al poster di Acireale.
Un indimenticabile P-Day 3
“Come faccio a pesarmi se la bilancia sta a Roma?” si chiese WP tentando disperatamente di eludere il problema…
“Basta comprarne un’altra! Qui nelle lande sperdute, ci sarà pure un negozio di casalinghi!” Rispose la sua coscienza!
Ma lo scaffale delle bilancie “pregiate” era troppo in alto per le corte braccine di WP, che si accontentò di quelle in basso da 9.90€. E poi ce n’era una con un orsacchiotto disegnato, era la più bella!
Tornata a casa, l’emozione fu tanta nel vedere l’ago della bilancia fermarsi sul 72! Felice e contenta saltò per tutta casa, poi, sudata e gongolante, volle riprovare la stessa forte emozione! Poggiò con veemenza entrambi i piedi e, sotto il suo sguardo appannato, i numeri cominciarono a scorrere e scorrere e scorrere… fin quando il 78 non si fermò sotto l’ago. Incredula si ripesò e ripesò… 78, 70, 76, 74.
I chili si inseguivano freneticamente senza criterio e per sottrarsi alla tortura dell’ago, fuoriuscirono dall’aggeggio infernale. Occuparono l’aria risucchiandone tutto l’ossigeno.
WP capitombolò per terra priva di sensi.
Quando si risvegliò, sperò che fosse un brutto sogno, ma l’aggeggio infernale era ancora lì. Tremante si avvicinò: il dolce sorriso dell’orsacchiotto si era aperto in un ghigno diabolico!
Caos Calmo
Non da tutti i libri si possono trarre film. Caos calmo di Sandro Veronesi è uno di quelli.
L’aver letto il libro mi ha sicuramente impedito di apprezzare le presunte raffinatezze di questo lungometraggio, pertanto sospenderei il giudizio. Tuttavia, essendo ciò che scrivo non professionali recensioni, ma spontanee impressioni, affermo con decisione che il film non mi è piaciuto.
Dopo la morte improvvisa della moglie, Pietro decide di fermarsi, e lo fa davanti alla scuola di sua figlia, muovendosi tutto il giorno nel parco e mentre aspetta, quasi spera che il dolore riempia il vuoto emotivo di cui è vittima insieme alla sua bambina. Ma il dolore non arriva. E intanto, tutto quel mondo che vuole evitare, lo perseguita insinuandosi nel suo microcosmo alternativo che ruota attorno a una panchina, nuova prospettiva da cui rivede il passato e si apre al presente.
La lunga attesa del dolore è il tema, il cuore della storia, ma il film non riesce assolutamente a farlo rivivere se non nella scena più brutta del pianto improvviso e stonato di Moretti.
Tutto accade nell’intimo del protagonista, di cui il film mostra solo la superficie impedendo a noi spettatori di cogliere la bellezza emotiva che solo la scrittura in generale e quella di Veronesi in particolare riesce a evocare. Ma almeno ci hanno risparmiato una scontata e banale voce fuori campo descrittiva.
Ma come si può rendere in immagini cotanta introspezione? Lo scarto tra immagine e parola in questa storia è palpabile, condannando il film alla privazione del necessario espressionismo visuale che possa restituire la potenza della parola scritta.
Moretti riesce a interpretare l’insolita calma interiore attraverso una recitazione calma e misurata, ma le battute morettiane che “rendono omaggio” al suo stesso ego (quella sul cinema italiano da aiutare e la filippica sulla pasta coi broccoli) risultano ridicole e fuori luogo e stridono con la tensione emotiva del film. Mi sarei aspettata che da un momento all’altro mostrasse la sua abile ars predicatoria cinica e incalzante.
Moretti fai Moretti, che ti esce bene, ma solo nei tuoi film!
Per non parlare della figlia sapiente che dispensa consigli da perfetta nonnina della pubblicità.
E riguardo alla chiacchierata scena di sesso? Non potevo certo non dire la mia: tale scena altro non è che una trovata pubblicitaria (You Tube docet) priva di potenza espressiva, che pare appiccicata lì, tanto per dare un ritmo allo scorrere del tempo narrativo che rasenta la noia. Il sesso nel librò c’è ed è raccontato con stile appropriato al significato della scena. Mostrata così esplicitamente e all’improvviso, senza mostrare l’evolversi del rapporto tra i due, in quel tipo di film risulta semplicemente gratuita e fuori sincronia. I personaggi si usano per liberarsi indipendentemente da qualcosa. Questo non si evince assolutamente dal film. E poi, visto che di immagini si parla, sfido chiunque a provare un minimo di eccitazione davanti a quel coito!
Ah, quanto mi sono mancate le canzoni dei Radiohead, la bellezza dei personaggi secondari, Silvio Orlando su tutti…E poi perché Roma? A Roma è quasi normale crearsi un ambiente “amico” attorno a una panchina. A Milano mettere in piedi uno spazio privato in uno luogo pubblico ha più il sapore della conquista e del faticoso confronto che porta alla riappropriazione di sé.
Conclusione: questo film è freddo e impersonale, un attentato al cuore del libro. Ma io non voglio esserne complice, pertanto vi supplico: non andate al cinema, correte in libreria!