All’ufficio comunale del Municipio 18 di Roma questa mattina c’era tanta gente. Alcuni già stanchi, altri avevano raggiunto un livello di scoglionamento sproporzionato rispetto alla lunga giornata che era solo all’inizio. Tra sguardi scuri e volti ingrigiti, gli occhioni spensierati e allegri di WP cercano quelli azzurri e sorridenti di Marco, che attende in piedi dietro la porta dell’Ufficio Matrimoni. Un quarto d’ora più tardi la porta si apre e i due innamorati vengono introdotti nella Sala del Giuramento.
Dietro il messo comunale, abbondante e prosperosa icona almodovariana, l’immagine incorniciata del matrimonio romano per antnomasia: lei, Hilary, di bianco vestita, lui, Francesco, impacciato nell’elegante tight, nell’attimo del bacio appassionato all’uscita della chiesa. Come a dire: prendete esempio da loro e amatevi per tutta la vita. E intorno ai due sposi i ricordi dei trionfi della Maggica proprio il giorno dopo la disfatta.
Ma bisogna comunque andare avanti e continuare a lavorare. E, così il nostro messo generoso, con l’amaro in bocca di fine campionato, ci fa accomodare davati alla scrivania e, senza troppo entusiasmo e con una stentato senso della professionalità, ci legge qualcosa che ho completamente rimosso. Tanto c’era Marco accanto a me e qualunque cosa avessi firmato mi legava comunque a lui e questo mi bastava. Finchè lo sgurado non mi è caduto su quel nome: Mario. Mario? Chi cavolo è MARIO???
Stavo per promettermi a Mario!!!
Fermatevi, voglio scendere!!!
Ma poi mi volto verso di lui e riconosco i suoi occhi. Basta correggere una I in una C, e mentre la signora prosperosa ripete ciò che continuo a non ricordare, mi emoziono nel ritrovarmi accanto il mio futuro marito, Marco.
L’ennesimo tuffo al cuore…