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Ascanio Celestini: saggezza e ingenuità

ascanio-celestiniIeri, immersa ne L’altra Estate a Garbatella ho visto nuovamente Ascanio Celestini.
Zainetto in spalla, saltellando tra il pubblico abbarbicato nei piccoli spazi rimasti, Ascanio è salito sul palco e ha raccontato le sue storie.
L’immediatezza, la semplicità delle parole, scarne, ma dense, la serenità che si espande, la capacità di scandagliare grandi pregi e grandi difetti dell’umanità, un pizzico di satira genuina e la magia della tradizione del racconto orale.

E poi l’ingenuità di Giufà e la saggezza di Re Salomone che fanno parte di ognuno di noi, sono entrambe dentro di noi, basta ascoltarle. Perchè spesso si dà troppo valore a ciò che paghiamo con la fatica e col sudore e ci si chiude nell’orgoglio del proprio io, la mente si annebbia e  il cuore non ascolta…e la bellezza ci sfugge via.

Basta! Perchè ho ancora voglia di esprimere liberamente il mio dissenso

Nani, ballerine, veline, puttane, morti ammazzati dal e sul lavoro, proteste, integralismi religiosi, morti di ribelli, cattobuonismi moralisti, orgoglio e onore, giustizia e ingiustizia, quorum, tristezza, disoccupazione, attesa, spari sulla folla, violenza, emergenza morale, delusioni, scontri generazionali, censura, attentati, morti e feriti, nel corpo, nell’orgoglio, nella dignità, terremoto e paura, LORO: i grandi della Terra, NOI: i piccoli della terra, incertezza, chiusura, blocco di marmo, il corpo delle donne, donne contraffatte, donne violate, mostri, castrazione chimica, il ritorno delle vallette mute e pure stupide, la morte dell’estetica, omologazione estetica, indignazione sopita, rivoluzione digitale, foto, festini e balletti, intercettazioni, strategia del gossip come unica alternativa, il paravento Berlinguer, la candidatura di Grillo.

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Created by: il suicidio della tv generalista

created-by-macchina-da-scrivereCon 43 mila presenze si chiude la terza edizione del Roma Fiction Fest che ha decretato i Buddenbroocks il miglior tv movie della stagione. Ma la lista dei premi e dei vincitori è molto lunga.
Non sono mancate le polemiche e le rivendicazioni da parte degli artisti, in particolar modo l’iniziativa di Pierfrancesco Favino (premiato come miglior attore per Pane e Libertà) che, con garbo,  ha lasciato il premio sul palco dichiarando «Accetto il premio con gioia ma lo lascio qui. Tornerò a prenderlo quando saranno reintegrati le risorse per il Fondo Unico per lo Spettacolo». Tale gesto è stato anche ripetuto da altri suoi colleghi.

Ma al di là dei riflettori mondani e cerimoniosi, mi preme dare rilievo al convegno promosso dalla SACT, dal titolo: Created by- il ruolo dello showrunner nella produzione seriale americana ed europea, moderato con competenza e ironia da Marco Spagnoli.
Senza voler entrare nel cuore del dibattito, di cui hanno già scritto l‘uffico stampa del Fiction Fest e il blog SACT, posso ben dire che il progetto Created by è molto ambizioso e degno di stima ed entusiasmo, ma attorno ad esso c’è una gran confusione. E’ emerso da alcuni interventi degli stessi sceneggiatori (categoria che mi preme comunque tutelare) che non hanno la minima idea di cosa sia un processo produttivo di serialità e lo hanno dimostrato rivendicando un potere di controllo sullo sviluppo del processo, al fine di tutelarne esclusivamente l’identità. Ma l’identità non è necessariamente qualità!
Mi sembra che qui ci sia un conflitto di rivendicazione di potere e non una sana ambizione di garanzia di qualità.
La qualità parte dall’idea e si sviluppa in un continuo lavoro di squadra che porta alla messa in scena del prodotto, a tutela del quale deve esistere una figura professionale, che può essere anche uno sceneggiatore, ma che deve necessariamente avere competenze di regia e produzione. Non a caso tale figura viene chiamata Produttore Creativo.

Pertanto, è certamente un segnale forte la volontà di cambiare l’avvilente status quo in cui è costretta la fiction italiana attraverso l’idea di promuovere percorsi formativi per tale figura. Ma finchè la televisione generalista, che deve pur sempre fare i conti con lo share e la vendita degli spazi pubblicitari, continuerà a investire nel vecchio, nel già visto, allontanando da sè ogni sfida al cambiamento e alla sperimentazione, la fiction italiana di qualità, che esiste e può continuare a evolvere, rimarrà un prodotto di nicchia, condannando il pubblico generalista all’inebetimento cerebrale.

La televisione generalista, per delle ragioni a me sconosciute, si ostina a negare l’esigenza di innovazione che lo stesso pubblico in fuga chiede a gran voce. Il fattore rischio è molto più basso di quanto si possa immaginare e lo dimostra il successo che le serie straniere continuano ad avere nel nostro paese. La domanda c’è, basta saperla ascoltare e accoglierla attraverso lo sviluppo di nuove idee di cui, la televisione, ha il dovere di farsi promotore, per il bene di se stessa e della nostra società.
La televisione generalista è sull’orlo del suicidio, ma ancora non lo sa.

La vita è una storia raccontata da un idiota…

som-e-furiaUno scoraggiante interrogativo serpeggia tra gli addetti ai lavori che seguono con passione il Roma Fiction Fest: perchè il modello produttivo seriale italiano rimane incancrenito nelle sue mediocri sicurezze e non osa sperimentare come si fa ormai da tempo in tutta Europa? Ho ascoltato le risposte più disparate e spesso anche disperate, ho sentito ipotesi, teorie e previsioni disfattiste su un futuro sempre più buio. Mah…, sarà che la mia esperienza sul campo è forse relativa, sarà l’ottimismo radicato nel modello di cultura democratica che dilaga in rete e di cui mi faccio pasionaria sostenitrice, ma proprio non riesco a farmi convincere da nessuna di tali argomentazioni e preferisco affiliarmi alla teoria che sia sempre e comunque colpa di Berlusconi, così, tanto per dire la mia anche io.

Al di là delle polemiche, il Fiction Fest continua a offrire storie di altissimo livello, ahimè, spesso in contemporanea, pertanto la scelta è sempre difficile. Ieri è caduta, nel primo pomeriggio, su Collision, serie inglese dalla programmazione atipica per i palinsesti italiani. Infatti in Gran Bretagna, viene messa in onda una puntata sola da 45 minuti ogni giorno dal lunedì al venerdi. Un incidente stradale coinvolge diverse persone accomunate da un’ unica cosa, quell’evento cambierà per sempre le loro vite e rivelerà uno scenario fatto di corruzione, contrabbando, appropiazioni indebite e tentativi di insabbiamento da parte del governo. Immagini chiare, ma dall’anima troppo fredda, mi hanno emozionato ben poco, lasciandomi una sensazine alquanto asettica che però ho subito abbandonato quando mi sono ritrovata davanti al capolavoro Som e Furia del premio oscar (per City of God) Fernando Meirelles.
Per il Fiction Fest, il regista brasiliano ha montato in maniera magistrale 12 puntate in un unico film di poco meno di due ore, riuscendo a restituire una fluidità della narrazione che mi ha appasionato già dalla prima scena.
Som e Furia è il remake del format canadese Slings and Arrows che riprende il titolo dal celebre monologo di Amleto:

To be or not to be: that is the question:
Whether ‘tie nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them?

Amleto, il personaggio, vittima di un’ insopportabile pressione emotiva si interroga e analizza se stesso e soffre. Allo stesso modo Dante, l’attore, è vittima della sofferenza per il tradimento subito da quella che riteneva essere la sua famiglia, la sua Ofelia/Elen, il suo direttore artistico, Oliveira. E, vittima della stessa follia del personaggio, l’attore fugge dal palco lasciando calare il sipario del fallimento sul suo destino. Ma la compagnia va avanti senza infamia e senza gloria e, alla morte di Oliveira, affiderà la propria sorte allo stesso Dante. Dopo alcune difficoltà iniziali, il fanstasma dell’amico/traditore Oliveira accompagnerà con ironia Dante nella sua missione e sarà testimone del superamento di quella follia del passato che si perde negli scrosci degli applausi per il successo ritrovato.  Una danza di amori, intrighi, passioni e risentimenti viene messa in scena sul palcoscenico e fuori da esso, quasi come fosse irrilevante la distinzione tra vita e teatro. E ci rimane così una storia ricca di rumore e furia (Som e Furia) che forse non significa nulla, ma regala un’emozione intensa e indimenticabile.

La vita è una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furia, e che non significa nulla. Macbeth (atto V scena V)

La combriccola dei matti al Fiction Fest

psychoville_coverPer me Terence Hill rimarrà sempre relegato negli anni ’70 nelle mitiche e luride vesti di Trinità! Proprio non ce la faccio a immaginarlo conciato da bagarozzo che investiga tra le sante vie di Gubbio. Eppure ieri, al Fiction Fest, la sua presenza ha segnato il picco massimo di esultanza del pubblico, accorso ad acclamare il buon vecchio Don Matteo. Questo è stato l’unico momento che, ahimè, (e lo dico con sincero dispiacere) ho dedicato alla fiction italiana.

Lontana dal coro osannate, ho lasciato fare al mio intuito e ho varcato la porta di una dimensione altra, quella di The Wrong Door. Sketch bizzarri animati da freaks di ogni tipo che vivono situazioni ai limiti e che ricostruiscono la realtà, riuscendo a restituire plausibilità anche all’assurdo. Perciò può risultare “normale” fidanzarsi con un dinosauro, vedere robot giganti ubriachi alla ricerca delle chiavi perdute, assistere alla progettazione dell’uomo più insopportabile del mondo,  partecipare ai provini da supereroe (non meno strampalati dei nostri “reali” talent show) e infine comprare armadi dal nome evocativo (Narnja) che introducono in un universo parallelo opprimente e snervante da cui è molto molto difficile uscire, un po’ come all’Ikea. Animazioni 3D e attori in carne e ossa si alternano in uno scenario dal sapore comico e burlesco in stile tipicamente british che non disdegna però il colorito toilet humor.

Ma l’apoteosi dell’umorismo perverso si è incarnato nella combriccola dei matti della dark comedy Psychoville. Un’ unica minaccia  incombe sul loro destino, una lettera anonima che recita l’angosciante e misteriosa intimidazione: I Know What You Did. Ed eccoli agitarsi inquieti: un nano telecinetico, un’infermiera ossessionata dall’idea di crescere un bambolotto come fosse un vero bambino, madre e figlio serial killer che metterebbero paura persino a Norman Bates, un collezionista di pupazzi che si è venduto gli occhi per la sua ossessione e infine il clown Mr. Jelly, sinistro animatore di feste per bambini. E’ decisamente lui il mio personaggio preferito, rappresentazione catartica dell’evoluzione della mia anima nera se avessi continuato la carriera di animatrice.

E a proposito di combriccola di matti, non c’è più matto di chi sa sognare. E il sogno più grande è il mondo perfetto. Partendo da questa ricerca, Massimiliano Davoli ha girato il bellissimo documentario Through Smoke and Mirage che racconta l’esperienza di Black Rock City.
Black Rock city è una città che vive solo pochi giorni nel deserto del Nevada e in cui si svolge il festival The Burning Man. Chiunque ha l’opportunità di esprimere se stesso in totale libertà, di sperimentare sogni, idee, fantasie sul mondo e sull’arte in tutte le sue forme. In questa comunità temporanea vige esclusivamente la regola della partcipazione collettiva e del rispetto, duramente messe alla prova dalle spesso ostili condizioni ambientali, dal caldo estremo alle tempeste di sabbia. I membri della comunità, vivono e si relazionano seguendo i principi dell’economia del dono. Per cui, abolito il denaro, ognuno dona un po’ di sé all’esperimento di comunità. E per celebrare la liberzione dalla schiavitù dei condizionamenti sociali, il sabato sera si dà fuoco al fantoccio di legno, the Burning Man. Ma questo grosso fumo rappresenta solo un miraggio o qualcosa sta cambiando davvero?

Questo interrogativo chiude la mia prima giornata al Roma Fiction Fest 2009.

Roma Fiction Fest

fictionfest Domani si aprono le danze sul panorama delle fiction italiane e internazionali. Preventivamente accreditata, mi dividerò per tutta la settimana tra il cinema Adriano e l’Auditorium della Conciliazione alla ricerca di idee, contatti, personaggi, storie e ispirazioni di ogni tipo. Ma soprattutto mi addentrerò nel misterioso mondo del linguaggio visivo contestualizzato sperando di trovare una risposta e successivamente una risoluzione al grande enigma: perchè certe cose in Italia non si possono fare e all’estero sì?
Che cosa manca al pubblico italiano generalista per poter apprezzare certe sperimentazioni linguistiche? Il dibattito è molto complesso, ma realtà come Romanzo Criminale mi lasciano ben sperare.
Bene, non mi resta che aspettare che si alzi il sipario sul Roma Fiction Fest.

Il rione Monti: qui si fa ancora vita di quartire

montiQuesta sera ho scoperto un po’ di quella Roma che non conoscevo, la Roma delle torri medioevali.

In realtà il tutto è nato da Ti racconto la Storia di Monti a cura della società Anthena. Ho scoperto che il rione Monti, di cui sono particolarmente appassionata in questo periodo, è molto più esteso di quanto immaginassi e, al di là dei negozi vintage, le botteghe artigianali e i locali di tendenza, nasconde degli scorci tipicamente medioevali che si allontanano dall’iconografia classica che da sempre rappresenta la Capitale. Una visita guidata di un’ora e mezzo attraverso le viuzze suggestive che fecero da teatro alle vicende delle antiche famiglie romane rivali dai nomi altisonanti che si sfidavano costruendo torri una più alta dell’altra. E così ecco che in via degli Annibaldi scopro la torre omonima, in piazza San Martino ai Monti, dove campeggia l’omonima chiesa, si erge la torre dei Capocci che fronteggia baldanzosa la torre dei Cerroni e poi la chiesa di Santa Prassede fino al trionfo di Santa Maria Maggiore.

Quanto ci sarebbe da raccontare di questo rione, quanto ci sarebbe raccontare di questa città.  Amo Roma per quella che è e per quella che continuerò a scoprire giorno dopo giorno.

Roba da matti

camicia-di-forzaA volte capita che i pensieri nascano fuori di te e ti seguano fino a bussare insistentemente alla tua sensibilità. E poi arriva il momento in cui li accogli, li mescoli, li fai amare e riesci a donare la vita ad ulteriori pensieri.

Dopo aver ampiamente (anche troppo) parlato delle alterazioni del Sè nel post precedente, mi ritrovo per caso a vedere il film di Giulio Manfredonia Si può fare e di seguire, sempre per caso, su Unomattina (e io non lo guardo mai!) un’intervista allo psichiatra Luigi Attanasio, sostenitore di quella psichiatria democratica che rese possibile 30 anni fa la Legge Basaglia, e infine lo scrittore Ugo Riccarelli, che, sempre per caso, ho conosciuto pochi giorni fa, il quale presentava il suo ultimo libro Comallamore, che narra le vicende del piccolo Beniamino che da bambino osserva i matti e che diventa uomo grazie alle loro storie.

Purtroppo poco spazio è stato lasciato alle parole di Riccarelli, che con il suo approccio delicato e poetico, tentava di esprimere il proprio pensiero sulla relatività dell’idea di follia. E proprio nel momento in cui tentava di dare una spiegazione a quella bella immagine di bambino che ascolta il rumore del mare in copertina, l’incompetente Eleonora Daniele lo interrompe per deviare la conversazione sulla necessità di tutelare la società da questi pericolosi criminali che non hanno alcun diritto di essere ascoltati e supportati.
Il pretesto dell’intervista è stato il caso di cronaca che vide l’aggressione di una coppia di anziani alla stazione di  Palermo per mano di uno psicolabile.
Non voglio dilungarmi vomitando giudizi su tale episodio, nè tantomeno ho le competenze per proporre soluzioni per la società sulla gestione del disagio mentale. Ma una cosa mi ha colpito nelle parole del dott. Attanasio ed è il punto di partenza di quelle nuove teorie psichiatriche che imposero la chiusura dei manicomi  (Legge 180), ossia la convinzione, di spostare il fulcro dell’analisi dalla malattia organica (intesa come problema da annienatre escludendo il malato dal contesto sociale)  al paziente e all’origine sociale del disturbo. In altre parole ho voluto leggerlo in linea con il principale assioma dell’antipsichiatria che vede nella psichiatria uno strumento di controllo sociale che ha la sua massima realizzazione nei manicomi e nella neutralizzazione dei pazienti attraverso cure farmacologiche a dosi elevatissime e terapie opinabili quali l’elettroshock.
Purtroppo la realtà attuale racconta di famiglie lasciate sole e di istituzioni che non hanno i mezzi sufficienti per dare un supporto a questo disagio. E chissà quali altri interessi economici e politici impediscono la realizzazionedi una rete di servizi esterni che possano assistere le persone affette da disturbi mentali che vivono in una società sempre più individualista, indigente in cui la lotta per la sopravvivenza può diventare una strada in discesa verso la follia.

Diceva Basaglia: la conquista della libertà del malato deve coincidere con la conquista della libertà dell’intera comunità…In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione…una società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla.

Sono passati più di 30 anni da queste parole e molte cose sono cambiate e tante altre cambieranno.

Ciò che più colpisce la mia sensibilità è l’universalità di cui si nutrono queste parole. Oggi non è “di moda” parlare di matti e il diverso è l’immigrato e chi è portatore di una cultura differente. Il diverso fatica a integrarsi a causa di un fraintendimento di base per cui ciascuno fatica ad aprirsi all’altro nascondendosi dietro le prorpie certezze culturali.

Finchè non ci si porrà in una condizione di rispetto e umiltà reciproca si impedirà ai differenti idiomi di confluire nell’unico linguaggio possibile che appartiene agli esseri umani tutti e i cui fondamenti risuonano nelle parole di accoglienza, ascolto, compassione e reciprocità.

Giuseppe Cederna, Ramachandran e i frammenti del Sé

giuseppecedernaGiuseppe Cederna è un attore che ho scoperto anni fa nella pellicola di Andrea Barzini Italia Germania 4 a 3 e ho continuato a stimarlo nel film premio Oscar Mediterraneo.
Giuseppe Cederna è un attore e anche scrittore e ultimamente ricorre spesso nei miei pensieri, così, improvvisamente e senza ragione alcuna e ciò accade in momenti apparentemente incongruenti tra di loro. Il suo reading alla Fiera del Libro non poteva che essere un incontro predestinato, e mi basta sentire questo per non pormi ulteriori domande a riguardo. Scelgo, in altre parole, di accettare incondizionatamente questo dono.
Il reading dal titolo La donna che morì dal ridere, ovvero i misteri del  Sé, si annunciava come un viaggio alla scoperta del legame che unisce la scienza all’arte e come tale non poteva non suscitarmi un forte coinvolgimento, ulteriormente amplificato dalla presenza del grande attore che da troppo tempo ormai appare in piccoli frammenti della mia vita.
Una volta seduta nella Sala Azzurra del Lingotto ho scoperto che quel titolo altro non è che uno dei capolavori del medico neurologo V.S. Ramachandran che riporta alcuni bizzarri casi clinici di pazienti che riferivano assurde e immaginarie sintomatologie in merito a reali patologie. Come per esempio un atleta che ha perso il braccio ma che continua a percepirlo dolorante, o ancora il giovane Arthur che, in seguito a un fatale incidente stradale, si convince che i genitori siano stati sostituiti da replicanti, e ancora il caso del vignettista, divenuto cieco progressivamente e vittima di allucinazioni surrogate della realtà. Questi e altri celebri casi diventano il punto di partenza della dell’indagine di Ramachandran su quei meccanismi del cervello umano che determinano comportamenti irrazionali, stati d’animo incongruenti e percezioni alterate. Secondo Ramachandran questi studi possono colmare l’abisso che c’è tra la cultura scientifica e quella umanistica, tra l’immagine che abbiamo di noi stessi e quella che gli altri hanno di noi. Questo gap è determinato dai diversi ruoli giocati dagli emisferi cerebrali, per cui in quello sinistro risiede un sistema di credenze che determinano una sorta di equilibrio del Sé, ma nel momento in cui l’emisfero destro rivela delle anomalie (le patologie), può succedere che il sinistro prenda il sopravvento ignorando il problema o stravolgendo totalmente la realtà delle cose esterne. Ed ecco che si verificano tutti quei meccanismi di difesa che vanno dalla rimozione alla negazione, fino alle forme estreme di autoinganno (anosognosia). Pertanto la consapevolezza del sé e della propria identità vengono totalmente alterate e l’immagine che si ha di sé non corrisponde a quella che si mostra all’esterno.

Ora, che cosa centra tutto ciò con il rapporto tra scienza e arte?
L’arte altro non è che una ricerca dell’unità del sé frammentato nella realtà esterna. Da questo viaggio in cui si tenta di raccogliere le briciole sparse dell’Io, nascono mirabili poesie, pitture, romanzi e tutte le grandi forme d’arte possibili. L’arte è il misterioso racconto dell’Io attraverso la narrazione, i colori e le forme.

Ecco perché i grandi artisti, mediante la loro capacità profonda di essere in contatto con se stessi, hanno intuito alcuni dei più grandi meccanismi cerebrali. Di questo parla il giovane ricercatore Jonah Lehrer che ha celebrato il sodalizio tra arte e scienza nel suo illustre saggio Proust era un neuro scienziato. In esso riprende le parole di Proust che descrive il sapore e l’odore di una  madeleine e i ricordi d’infanzia che tali sensi lasciano affiorare alla memoria. Questo racconto è un’anticipazione della scoperta del legame tra connessioni cerebrali e percezioni sensoriali, nello specifico tra i sensi (gusto e olfatto) e l’ippocampo, sede della memoria a lungo termine.

Pertanto, tutto ciò che afferisce al Sé è frammentato nell’esteriorità delle esperienze, per cui la nostra verità parte dal caos esterno, dai frammenti di sensazioni, esperienze e ricordi e si ricompone al’interno della nostra coscienza dando forma al Sé.
Virginia Woolf, scrittrice dalla vita tormenta, si dedicò totalmente alla narrazione attraverso l’abbandono al flusso di coscienza, segnale questo dei tempi in cui visse, che videro sostituirsi alle certezze del positivismo, la relatività di alcune scoperte in ambito medico e scientifico (Einstein, Freud…) che rivelarono la presenza di un mondo interiore all’essere umano che in qualche modo era strettamente legato a quello esteriore. Ed è proprio osservando le infinite trasformazioni della realtà, accompagnate dal continuo fluire del tempo, che si può intervenire fissando il momento, quel momento, in quel luogo, che rivela i frammenti di un Sé in cerca di identità. E, ponendo la giusta attenzione, si può rintracciare la continuità tra i singoli momenti nello scorrere caotico degli eventi, fino a raggiungere finalmente la coerenza del Sé che definisce l’identità della persona.

L’Io è la nostra opera d’arte di cui solo noi stessi siamo responsabili. Se non ci fosse l’Io saremmo solo una massa di personaggi in cerca di autore.

Suggerisco a me stessa e a chi ha avuto la pazienza di arrivare fino alla fine di questo lungo post, le seguenti letture: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sacks, La donna che morì dal ridere di V.S.Ramachandran e Proust era un neuroscienziato di Jonah Lehrer.

Ringrazio con affetto Giuseppe Cederna, (con il quale ho sentito l’incontenibile esigenza di cercare un contatto fisico attraverso un’emozionante stretta di mano), per aver fermato in quel momento e in quel luogo un grande frammento di me e di avergli dato forma e colori attraverso le sue parole ricche di incanto, suggestione e verità.

Mediabazooko: un’esperienza ai confini della bruttezza cinematografica

il-boscoPensavate di aver oltrepassato le frontiere del trash restando incollati davanti alle risse dell’isola dei famosi e alle sgallinate nel pollaio di Uomini e Donne?
Poveri a voi! Roma vi offre molto ma molto di più. Venite anche voi alle strampalate e spassose serate organizzate da Mediabazooko e Filmbrutti . Ad accogliervi una massa di presunti cinefili e pure cinofili personaggi dalla romanità carnale e verace. Sto parlando di cultura, ragazzi, quella vera, quella che supera gli snobbismi intellettualoidi di certo cinema pessimista, masochista e angosciante. Qui i buoni vincono sempre e il male viene sconfitto dopo una battaglia ricca di suspense, colpi di scena e proto-effetti speciali che segnano col sangue il confine tra la paura e la letizia. Ma questa linea è talmente sottile che, una volta oltrepassata, esplode in incontenibili risate di pancia.
Mediabazooko è uno spazio culturale di simpatici fanciulli animati dall’insana passione per il cinema che, una volta a settimana, organizzano cinevisioni insieme al gruppo di Filmbrutti, il cui nome parla da sé.  Ogni visione è accompagnata da liberi insulti e dal lancio di oggetti non contundenti contro lo schermo illuminato dalle più oscure creature del male, eroi invincibili, zombie, cannibali, povere vergini, vampiri e Chuck Norris.
La serata di ieri è stata dedicata al re della zoomata  Jess Franco e al suo capolavoro Una vergine tra i morti viventi, la storia di una giovane verginella, con l’abitudine di sguazzare ignuda tra le acque lacustri, che va a trovare alcuni parenti in uno spettrale castello sperduto tra i boschi. La trama è stata difficile da seguire a causa dei continui e accalorati insulti nei confronti di questa pellicola dai contorni sfocati, le lunghe e inutili carrellate, gli interminabili piani sequenza e le continue e ossessive zommate sugli sguardi assenti dei protagonisti. Mi astengo dal fornirne una dettagliata recensione, perchè alla fine del primo tempo siamo stati piacevolmente sorpresi dal cambio di programma. Buio in sala ed ecco animarsi sullo schermo una coppia felice di innamorati che, durante il loro viaggio tra delle presunte Alpi, incontrano un’intimorita donzella in versione Solange anni ’80, dietro le cui innocenti spoglie, si cela una spaventosa creatura del male, armata di un braccio mostruoso che, nel teaser del film, dà prova della sua cattiveria sfracellando gli attributi di un povero giovine caduto nella sua trappola seduttiva. Il capolavoro in questione è Il Bosco 1 di Andrea Marfori.
Sorseggiando birra, ci si ritrova, si chiacchiera, si dà uno sguardo alla collezione di vinili, libri, opere maestre del cinema mondiale e introvabili capolavori del cinema trash degli ultimi 30 anni.
Dopo tali visioni i vostri sogni non saranno più gli stessi e dopo tre visioni riceverete in omaggio il privilegio di fare la comparsa nel prossimo esilarante film di Ruggero Deodato Cannibal Holocaust 2, il cui primo successo battezzò la carriera d’attore dell’On. Luca Barbareschi!!! Accorrete numerosi, accorrete numerosi. Mediabazooko, via F. Selmi 125, Roma.

Ma prima di salutarvi vorrei citare due massime (gentilmente offerte dai ragazzi di welovechucknorris) del Sommo Eroe, da cui tutte noi dementi donzelle vorremmo essere rapite.

Chuck Norris spesso chiede alle persone di tirargli il dito. Quando lo fanno, li colpisce con un calcio volante nell’addome. Dopodiché scoreggia.

I bambini hanno paura del buio. Il buio ha paura di Chuck Norris