L’agorà è il luogo di condivisione della conoscenza e nell’agorà la stessa libertà di pensiero viene distrutta dalle lotte fratricide in nome del fondamentalismo religioso.
Lotte che si perdono nella descrizione di una battaglia che racconta la violenza esclusivamente attraverso la messa in scena della violenza, come se fosse questa l’unica via per rappresentare la barbarie e l’involuzione che di lì a poco avrebbe portato a un forte oscurantismo intellettuale intriso di dogmatiche visioni religiose.
Le immagini del film Agorà di Amenábar sono dei quadretti perfettamente sceneggiati attraverso abilità tecniche e produttive, ma sterili e prive di quella dimensione umana che è protagonista assoluta di questa pellicola.
Ipazia, filosofa e astronoma dell’Alessandria d’Egitto del IV secolo, perseguitata dai cristiani perchè donna empia che afferma con orgoglio di credere solo nella ragione nella filosofia, da ideale di amore per la scienza e per la divulgazione di civiltà, diventa ella stessa vittima della scienza che le impedisce di scoprire la parte più intima della sua natura di donna colta e raffinata. Ipazia non trova dentro se stessa lo spazio per la commozione, per la condivisione dei sentimenti e per il suo lato più umano. Ipazia, accecata dall’ossessione per la verità, è immune da ogni passione, come se l’amore mal si coniugasse con le speculazioni scientifiche. Ipazia si perde nei dialoghi elementari e modesti che non evocano alcuna emozione e che non suggeriscono una logicità al racconto di un tema, lasciandoti l’amaro in bocca per la mancata occasione. Ipazia muore per i suoi ideali, ma viene sacrificata per la sete di vendetta di Cirillo nei confronti di Oreste. A far da protagonista alle vicende sembra essere più l’amore di Oreste che una profonda riflessione tra scienza e fede. Ci si perde nella messa in scena, le riprese virtuosistiche si raccontano a se stesse dimenticandosi del confronto e della riflessione filosofica sulla laicità del pensiero.
Le inquadrature dall’alto e i campi lunghissimi ridondanti rivelano un film sconnesso privo di fluidità e di corposità. Non emoziona, non commuove e non rende giustizia alla donna di scienza che fu Ipazia.
UPDATE: Scambiarsi opinioni in rete è un valore aggiunto alla riflessione al quale non potrei mai rinunciare e, grazie a tale scambio, Giovanna Koch mi fa notare che “Un film è anche un atto culturale oltre che un’espressione artistica e Agorà è particolarmente originale a riguardo. Quanto all’amore che si oppone alla ricerca scientifica per le donne… Be’, è ancora vero. Carriera contro figli, indipendenza intellettuale contro solitudine, mi paiono contrasti attualissimi.”
Purtroppo rimane un po’ d’amarezza sia per la messa in scena debole sia per la modalità in cui viene raccontata Ipazia. Ma mi auguro che il cinema e, perché no, anche la fiction televisiva, conferiscano sempre più spazio alle donne della scienza e della storia che hanno lasciato un segno nell’evoluzione della nostra umanità, ma anche alle tante donne “invisibili” che quotidianamente, nella loro molteplicità di ruoli, restituiscono solidità al tessuto sociale.
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