Sono andata a vedere questo film perché non avevo niente di meglio da fare quel pomeriggio in cui, passeggiando per il centro di Roma, dissi: “Dai, entriamo?”
Neanche nel lontano tempo della prorompente adolescenza sceglievo un film per la presenza di un attore, e invece, ora, mano nella mano del mio adorabile marito, ho optato per A single man esclusivamente per la passione smodata e setosamente carnale che provo nei confronti di quel bell’uomo di Colin Firth. (Già dai tempi di Bridget Jones, ma non ditelo in giro, ho una reputazione da cautelare.)
Ed è proprio per tale ragione che mi rallegro della Coppa Volpi che gli è stata attribuita alla 66esima Mostra del Cinema di Venezia, purtuttavia non riesco a farmene una ragione.
Come hai potuto, Colin, lasciare che ti dirigessero in tal maniera, alterando totalmente la credibilità di un bellissimo personaggio, quale è il professor George Falconer?
Non sottostimare il tuo pubblico: esso non ha bisogno di essere imboccato con messinscene didascaliche e ridondanti. Il tuo pubblico sa che il pane tirato fuori dal freezer è surgelato, non hai anche bisogno di sbatterlo violentemente contro il tavolo per farci udire la sua consistenza!!!
Una recitazione che simula la presenza di un bastone impiantato su per il condotto anale non rende il garbo, il manierismo (seppur ossessivo), la meticolosità e la maniacalità di un personaggio così elegante e raffinato.
La ricerca spasmodica dell’estetica ha reso i personaggi, l’ambientazione e la storia freddi e banali, a tratti noiosi.
La bellezza che ritroviamo più volte nelle parole e nei pensieri di George (quando per esempio invita i suoi studenti a coglierla nel presente), l’avremmo voluta vedere in immagini autentiche e sincere, cariche di quella potenza narrativa in grado di restituire la naturalezza della dimensione umana.
La bellezza in questa pellicola, invece, rimane imprigionata nella sua stessa forma, nella gabbia stilistico/manieristica in cui è stata ossessivamente ricacciata: la bellezza soffre di afasia e nessuno riesce a sentire il suo urlo soffocato.
E tale soffocamento è ben descritto nel re dei tòpoi: l’uomo che volteggia negli abissi, l’acqua che soffoca e che purifica, e, dulcis in fundo, il bacio della morte.
L’estetica, questa volta, ha ucciso la bellezza!